Dopo una lunga malattia ferocemente invalidante è scomparso Giuseppe “Beppe” Casadio. Io l’ho conosciuto e ho lavorato a lungo con lui. Beppe faceva parte della “mia” segreteria quando dirigevo la Cgil dell’Emilia Romagna. In queste ore la Cgil di Ravenna ha diffuso il suo curriculum, da cui emerge il profilo di un importante dirigente sindacale. Nato a Faenza il 1° maggio 1946, si laurea in Pedagogia e inizia a insegnare nel 1970. Si dedica da subito all’attività sindacale che lo porterà a ricoprire importanti incarichi sia in ambito regionale sia a livello nazionale. Coordinatore per oltre dieci anni delle politiche del lavoro nella segreteria nazionale della Cgil, è stato segretario generale della Cgil Emilia-Romagna, componente del Cnel nella VIII Consiliatura (2005-2010) e presidente della Commissione per le politiche del lavoro e dei settori produttivi. In queste righe c’è l’essenziale di una vita al servizio di una buona causa. Ma di Casadio ci sarebbero altre cose da ricordare. Innanzi tutto che era iscritto al Pci (allora per tante persone era un vanto). Poi Beppe si trovò coinvolto in una vicenda tragica che ha segnato non solo la storia del Paese, ma anche la sua. Casadio, faentino, insegnava a Brescia ed era segretario del sindacato scuola della Cgil quando i compagni del gruppo dirigente vennero massacrati nell’attentato fascista di Piazza della Loggia. Per Beppe fu uno shock mai superato. In questi casi uno si chiede “perché io no?”. La sorte volle – se ben ricordo le cose che mi raccontò – che in quel giorno tragico che gli cambiò la vita, Casadio fosse a letto con l’influenza. Dopo quell’evento abbandonò l’insegnamento, se ne andò da Brescia e rientrò a Faenza. La Cgil di Ravenna gli affidò la direzione della Fiom dove mise in mostra quelle capacità che lo portarono, prima, alla direzione della Camera del Lavoro, poi nella segreteria regionale, da dove intraprese la strada per la segreteria confederale, come aveva fatto prima di lui Alfiero Grandi, subentrato al mio posto nel 1985. Furono anni durissimi, vissuti tra stragi (il 2 agosto 1980), attentati (le bombe di Natale alle 19.08 del 23 dicembre 1984), e di mesi trascorsi da “separati in casa” nella Cgil per la vicenda del decreto di San Valentino del 14 febbraio 1984 e del referendum abrogativo l’anno dopo. Ma quella generazione – alla quale anch’io appartenevo – seppe gestire una fase estremamente critica con grande responsabilità, al punto di riprendere il cammino insieme quando le polemiche cessarono e tutti presero atto degli esiti decisi dall’elettorato. Da segretario confederale Giuseppe Casadio incappò in un “infortunio sul lavoro”: il suo comportamento ne confermò la statura di dirigente sindacale. A capo della delegazione Cgil negoziò, nel 2003, con le altre confederazioni e le controparti le modalità di recepimento della direttiva europea sui contratti a termine. L’intesa raggiunta non venne condivisa dalla Cgil. Il che non significa che fosse sbagliata, ma quando si esercita una funzione di rappresentanza si deve prendere atto delle decisioni della tua organizzazione. Come aveva fatto Luciano Lama nel 1968 in seguito ad un accordo col governo sulle pensioni (di anzianità) non condiviso dalla maggioranza delle strutture consultate, Casadio andò a ritirare l’adesione all’accordo, forse dispiaciuto, ma con la coscienza a posto per ben due motivi: a) la consapevolezza di aver agito nell’interesse dei lavoratori perché nell’accordo era inserito il c.d. causalone che costituiva una salvaguardia per i lavoratori, tanto che negli anni seguenti si è fatto – e giustamente – di tutto per abolirlo; b) il dovere di attenersi alla disciplina della propria organizzazione. Per esperienza posso testimoniare che è questa la scelta più ardua per coloro che sono persuasi di aver agito correttamente. Per tanti motivi, i nostri incontri negli ultimi trent’anni furono piuttosto rari; ma da parte sua non vennero mai meno la cortesia e il rispetto per gli altri anche quando esprimevano idee diverse dalle sue.
Giuliano Cazzola