“Eccoti, Javhè, finalmente. Proprio te cercavo”.
“Allah, ancora tu, che vuoi? Non mi importunare”.
“Sei sempre insopportabile. Con quell’aria onnipotente, la barba presuntuosa, i capelli bianchi, troppo lunghi. Dovresti tagliarli, o tingerli”.
“Ma come ti permetti, pagliaccio!? Sei talmente brutto che di te non esistono immagini”.
“Perché sono io a non volerle. Il Corano spiega che non vi è nulla simile a me. La Bibbia, invece, sostiene che hai creato l’uomo a tua immagine e somiglianza. E così puoi essere descritto, ritratto, rappresentato. Io sono inimmaginabile, la mia è una solitudine assoluta. Il primo, l’unico, l’inconosciuto”.
“Ma che vai cianciando? La verità è che sei uno sgorbio, gobbo, contorto. Spettinato, cisposo, sporco. Puzzi, non ti lavi, indossi un caftano lurido. Ti vergogni e quindi ti nascondi con l’alibi dell’irriproducibilità”.
“Senti chi parla! Ma ti sei visto? Un rudere, con le gambe secche, le braccia avvizzite, la pelle cascante. Tanto che anche tu avevi vietato di essere riprodotto. Poi, quando hai cambiato nome, ti sei inventato questo faccione da vecchio saggio”.
“Cambiato nome, io? Stai pazziando?”.
“Ma dai, non puoi negare l’evidenza. Nell’Antico Testamento ti facevi chiamare Javhè, poi, nel Nuovo, sei diventato Dio, un’espressione in verità generica e qualunquista. Sei un doppio. La prima identità è severa, irosa, bellica, inesorabile, vendicativa. La seconda, salvifica, mielosa, amorevole, indulgente, benefica. Uno schizofrenico. Hai pure fatto un figlio. Ma a differenza di Zeus, che si trasformava in magnifici animali o in pioggia dorata per sedurre giovani donne, tu ti sei inventato l’alibi dello spirito santo. Come a dire: “Io? Sono innocente. Lei è rimasta vergine”. Ipocrita!”.
“Taci! Non hai diritto di parola, tu, seminatore di morte e di violenza. Tra gli obblighi dei tuoi adoratori spicca quello di massacrare i miscredenti. Maometto e i suoi epigoni predicavano la guerra santa. Più si uccidono infedeli, più si guadagna il paradiso. La gloria dell’Islam innanzi a tutto. Nelle moschee si proclama che chi muore in battaglia per la tua causa, lava con il sangue tutte le macchie dei suoi peccati e che nel giorno del giudizio le ferite manderanno fragranza come il musco. Scellerato!”.
“Non mi sembra che nelle sinagoghe si predichino il perdono e la pietà. Accusi il mio profeta, ma anche Mosè, con le tavole della legge, non era certo un tenerone. Come è la regola del taglione? Ah, sì. Occhio per occhio, dente per dente. E gli abitanti di Gerico, che con l’aiuto delle angeliche trombe, Giosuè ha seppellito sotto le loro mura, non erano i progenitori dei miei mussulmani? I valori della tolleranza e della misericordia li fai rimbombare davanti all’altare, così da essere coperto su tutti i fronti. Una tua metà si salva sempre. E poi, se non sbaglio, anche la seconda versione, quella buonista, ha generato lutti e orrori. Dimentichi le crociate, l’Inquisizione, i roghi, lo sterminio dei catari? I nazisti sostenevano che tu, quello nuovo, eri dallo loro parte mentre uccidevano i fratelli maggiori, gli ebrei, che confidavano nell’antica alleanza. Gott mit uns! Ma ti rendi conto di quante contraddizioni sei portatore?”.
“Non sono contraddizioni, ma espressioni del libero arbitrio. Tu vuoi tutti a tuoi ordini, tutti schiavi e assassini. Ho udito gli imam predicare che, se gli uomini non fossero spinti, a slanciarsi armati contro altri uomini, la terra si perderebbe. O annunciare che la fiamma della guerra non si estinguerà fino alla fine del mondo e che le porte dell’aldilà stanno all’ombra delle spade. Vado avanti con le citazioni?”.
“Frena, frena. Sei passato dal popolo eletto alla conquista dell’intera umanità. Un’irrefrenabile voglia di potere. Vuoi che ti ricordi gli orrori delle tue guerre di religione? Papisti, protestanti, luterani, calvinisti. Massacri sotto il segno della croce. A proposito, come hai fatto ad accettare che i vecchi fedeli abbiano sacrificato il figlio che hai procreato, con il trucco, spacciandoti per un altro?”.
“Non hai capito proprio niente! Funzioni a senso unico. Io, io, io e basta. Sei un idiota!”.
“Doppelganger!”.
“Delinquente!”.
“Falsificatore!”.
“Criminale!”.
“Aspetta, aspetta. Non sono venuto da te per litigare”.
“E perché allora?”.
“Perché abbiamo interessi in comune. Non per nulla l’arcangelo Gabriele è al servizio di entrambi. Fu lui che annunciò la misteriosa maternità alla Madonna e fu sempre lui ad illuminare Maometto. Mi azzardo a dire che siamo fratelli, nati da Baal. Sono in realtà i sumeri gli inventori del monoteismo”.
“Dove vuoi arrivare? Sii più chiaro”.
“Un attimo, fammi continuare. Siamo entrambi, programmaticamente, maschilisti. Non abbiamo alcun attributo femminile e le nostre rispettive credenze danno alle donne un ruolo minoritario, subordinato. I miei fedeli si sono inventati persino la polizia morale per obbligarle ad andare in giro ben coperte. Ma anche dalle tue parti non si scherza. I sacerdoti sono solo uomini, le suore indossano palandrane che ricordano i nostri burqua e alle cerimonie bisogna andare a capo coperto, magari con le velette. E mi sembra che anche il trattamento riservato agli omosessuali, più o meno, sia simile”.
“Continuo a non capire che cosa hai in mente”.
“Ho paura di scomparire, di essere dimenticato. Di finire come le divinità che c’erano prima di noi e che sono diventati personaggi da fumetto, eroi della Marvel. Come Thor e il suo ridicolo martello. Oppure Odino, quel pagliaccio che si tolse un occhio per poter bere alla fontana della saggezza. Anche se, in fondo, un po’ mi assomiglia, con il suo Walhalla destinato ai guerrieri”:
“Insomma, vieni al sodo”.
“Porta pazienza. Ti rendi conto di quante divinità c’erano prima di noi? Roba da museo egizio o da manuali di storia delle religioni. Qualcuna resta, tipo nell’induismo e nello shintoismo, ma a farla da dominatori siamo noi”.
“Noi? Tu sei un tanghero. Un bugiardo, un idolo sanguinario, parto di menti malate. Esisto solo io! Non avrai altro Dio al di fuori di me!”.
“Questo lo affermo anch’io. Allah akbar! Ma non interrompermi, per favore. E non ricominciare con gli insulti. Stavo dicendo che per il momento siamo ancora noi i padroni del pensiero umano, ma per non perdere il nostro primato, dobbiamo alimentarlo senza sosta. L’ateismo, l’agnosticismo, lo scetticismo, sono nemici sempre in agguato. Anche il ritrovato amore per la natura rischia di trasformarsi in un nuovo panteismo. Gli alberi, l’aria, i fiumi, il pianeta. Persino il tuo attuale gran sacerdote sembra credere più alle esigenze della madre terra che ai miracoli dei vostri santi”.
“Lascia stare il papa e pensa piuttosto ai tuoi macabri ayatollah”.
“Ma perché non vuoi ammettere che i nostri culti stentano? Quanti giovani sono attratti da strane correnti mistiche e filosofiche, come quella di Buddha, che non è nemmeno un dio, con quel pancione, tutto ripiegato su se stesso, egoista, preoccupato solo del proprio equilibrio esistenziale! Ci sono perfino coloro che si avvicinano alle credenze dei nativi americani. Manitù. Ti rendi conto?”.
“Mi rendo conto che blateri, blateri, blateri. E non arrivi al sodo”.
“Senti, io vado avanti grazie alle imposizioni e alla ferocia di chi crede in me, tu fai affidamento sulle superstizioni, sulla dabbenaggine, sulla paura del nulla. La gente entra nelle chiese solo in occasione dei funerali, per esorcizzare l’oltretomba. Nei giorni normali vanno a pregare le beghine, i vecchi, i creduloni. E la messa della domenica non è più certo un obbligo. Forse i fedeli della tua identità originaria sono più costanti, specie nelle ricorrenze. Ma anche lì il laicismo e la modernità erodono la partecipazione”.
“L’importante è che mi portino nel cuore, in entrambe le mie versioni”.
“Allora proprio non vuoi capire! I nostri testi sacri, la Bibbia, il Corano, stanno diventando come l’Iliade, come l’Odissea, come le Metamorfosi di Ovidio, come il Mahabharata. Miti e leggende, favole e fantasie. Persino il Signore degli anelli, inventato da quel diabolico lestofante di Tolkien, ha più seguaci e lettori di noi. Ti ripeto, rischiamo di finire come Amon o come Giove. Antico folklore, e nulla più”.
“E allora che dovremmo fare”.
“Li senti? I tamburi rullano di nuovo, chiamano alla pugna. In Palestina, dove le nostre figure si intrecciano e si amplificano. Non deve mai esserci pace, all’ombra degli ulivi”.
“Ma io ho fatto nascere mio figlio proprio lì, per diffondere la buona novella”.
“E invece, con l’indicazione di un paraclito, hai seminato ancora più odio. La tua seconda identità, quella paterna, ha inanellato fallimenti a catena. Preferisco l’originale, il Dio degli eserciti”.
“Nemici per sempre?”.
“Certo! Finché si ammazzano in nostro nome, continuiamo ad esistere”.
“Così sia”.
Marco Cianca