La Cgil si prepara alla grande manifestazione a piazza San Giovanni a Roma, il 7 ottobre. Al centro democrazia e costituzione, i pilastri della convivenza. E lo fa senza partner ingombranti. Senza la Cisl, che dal primo momento ha criticato l’iniziativa, lontana dalla sua idea di confronto costruttivo con le istituzioni. E anche senza la Uil, che pure l’ha seguita con solerzia negli ultimi semestri, anche nelle varie piazze d’Italia. Ma non sarà sola la confederazione di Maurizio Landini, avrà con sé un mare di sigle del terzo settore, alcune stranote, molte appena conosciute. Tutte insieme importanti, perché in tanti vi si riconoscono, ma non tali da emergere più di tanto. La protagonista sarà una sola, la Cgil.
Una prova di forza, un’esibizione di muscoli, si potrebbe dire, ma parallelamente Landini cerca il confronto con il governo. Come dimostra la lettera che ha inviato nelle scorse settimane alla premier affinché si intavoli finalmente un reale dialogo tra esecutivo e gli effettivi rappresentanti del mondo del lavoro e della produzione, senza quei comprimari con i quali gli capita spesso di ritrovarsi a Palazzo Chigi. Una lettera che non ha ricevuto risposta, ma che potrebbe trovarla presto. Giorgia Meloni avrebbe infatti tutto l’interesse a intavolare un dialogo con le forze sociali.
Le opposizioni non la impensieriscono, è vero, anche se le iniziative potenzialmente pericolose si moltiplicano: dopo il salario minimo, Pd, Cinque stelle, Calenda e amici della sinistra stanno facendo le prove generali per una nuova iniziativa in un campo delicato, quello della sanità. Ma al momento a turbare i sonni della premier è la manovra economica, sempre più difficile, un puzzle che non si riesce a ricostruire. Attenuare in qualche modo le probabili reazioni negative della società attraverso un dialogo con le forze sociali potrebbe essere un modo per ottenere, forse, una qualche tregua. Una sorta di concertazione, naturalmente non dichiarata come tale da chi l’ha sempre combattuta.
Ed ecco che assume un significato chiaro l’alleanza di Landini con le associazioni del terzo settore, un modo per rafforzarsi, per essere più importante agli occhi del possibile interlocutore. Qualcuno ha letto invece questo avvicinamento al mondo associativo come un passo del segretario generale della Cgil verso il mondo della politica, l’anteprima cioè della costruzione di una base per scendere con forza nell’agone politico, magari anche in quello elettorale. Un’errata lettura, di vecchia data. La sinistra, priva di leader degni di questo nome, costretta ad affidarsi a Conte e alla Schlein, che non sono leader di spessore o forse non lo sono ancora, ha sempre guardato con interesse a Landini come il possibile salvatore, offrendogli qualsiasi poltrona disponibile.
Nulla di più sbagliato. Il segretario generale della Cgil ha sempre negato qualsiasi ambizione politica. Sono e resterò, ha sempre detto, un sindacalista. L’unica vera ambizione che ha avuto, e la dichiarava, era quella di diventare segretario generale della sua organizzazione, e ci è riuscito. Per un’improbabile alchimia tra elementi eterogenei, ma ci è riuscito. E con la politica ha sempre avuto un rapporto molto chiaro. Sa bene che il sindacato è debole, per tanti e diversi motivi, e sa anche che questa debolezza è crescente, non tende ad allentarsi. E proprio per questo, per sanare questa debolezza, ha sempre volto gli occhi alle forze sociali che potrebbero irrobustire il sindacato, renderlo più efficace in un reale confronto con i propri interlocutori di turno.
Nel 2015, quando era ancora alla guida della Fiom, si inventò la coalizione sociale, un qualche collegamento con varie forze sociali, in parte quelle stesse con cui sta per marciare assieme il 7 ottobre. Tutti gridarono allo scandalo, affermarono che era chiaro il progetto politico, anzi partitico, di Landini che si apprestava a scendere in politica contro tutti. Non era un progetto politico, era la ricerca di alleati non ingombranti per sostenere ideali di giustizia e democrazia. Quell’iniziativa non ebbe seguito, forse proprio perché allora fu letta in maniera sbagliata, ma indicò le direttrici di marcia del leader sindacale.
Massimo Mascini