I flussi migratori sono un “fenomeno epocale”, dice il Presidente Mattarella e ha ragione. Non servono misure “tampone” e nemmeno tentativi (teorici e velleitari) di impedire le partenze: i muri ai confini europei e i blocchi navali ai confini africani sono solo propaganda elettorale. Distinguere tra migranti autorizzati e migranti clandestini è ipocrisia politica: le persone vengono in Europa a cercare condizioni di vita più sicure e dignitose, punto. Fuggire dalla guerra, dalla dittatura o dalla fame non cambia il colore del diritto a una vita migliore. Infine, l’idea di risolvere la questione creando “campi di concentramento” in attesa di rimpatrio forzato o volontario si commenta da sola: se i migranti fossero di pelle bianca sarebbe un crimine contro l’umanità, siccome sono neri si finge di nulla.
Quali sono le soluzioni vere “con visione del futuro” non “improvvisate” da adottare? Una è sicuramente quella di favorire lo sviluppo (economico, civile, democratico) del continente africano, a partire dai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (anche quelli mediorientali). Ma si tratta di politiche di lungo periodo: 10, 20, 30 anni almeno. L’altra è quella (di cui nessuno parla) di trasformare i migranti in cittadini con parità di diritti e di doveri e di superare la marginalità sociale e i rischi di criminalità diffusa che essa comporta. Passare in sostanza dalle sole politiche di mala accoglienza a quelle di buona integrazione e inclusione.
Non c’è da inventare nulla: basta riflettere su cosa è stata l’emigrazione quando erano gli italiani a cercare condizioni migliori di vita in altri Paesi europei e in America. Anche noi siamo stati marginalizzati e discriminati (e siamo stati vittime delle organizzazioni criminali), prima di diventare cittadini con parità di diritti e di doveri. Qual è la differenza tra le due situazioni? I passaggi essenziali tra non essere cittadino ed esserlo sono 3: la casa, la scuola, il lavoro. Da lì discende tutto: i diritti sociali di cura, di previdenza, di assistenza e i doveri di contribuzione fiscale e rispetto delle leggi.
In Germania (la locomotiva economica europea degli ultimi 20 anni) basta un documento di identità personale per avviare questo percorso: imparare la lingua e la cultura, abitare civilmente (non in quartieri lager), trovare un lavoro legale e dignitoso (con momenti mirati di formazione retribuita). In Italia, senza che se ne parli, il volontariato cattolico e laico stanno avviando da anni percorsi simili in assenza di qualsiasi aiuto pubblico e di legge. Le istituzioni nazionali, regionali, locali guardano altrove: si pre-occupano delle misure tampone.
Un’ultima precisazione: le politiche di inclusione attiva sono necessarie, anzi indispensabili, se si vuole evitare il declino demografico ed economico già in atto nel nostro Paese. E non sono difficili da realizzare nemmeno in chiave locale. Il costo iniziale è presto compensato dal beneficio economico e sociale (e anche fiscale). C’è bisogno di più lavoro per creare nuovi servizi alla popolazione e al territorio. Se il lavoro è regolato e ben retribuito può essere anche la leva di un rientro degli 1,8 milioni di giovani italiani (under 30) che sono migrati e risiedono all’estero. A proposito del delirio sul “rischio di sostituzione etnica”.
Gaetano Sateriale