Il gruppo Stellantis, come è noto, è nato dalla fusione dell’italo-americana Fca con la francese Peugeot. Tre Paesi – Stati Uniti, Francia e Italia – che hanno avuto storie diverse per ciò che riguarda le complesse interazioni fra l’industria dell’auto, i movimenti sindacali e le politiche industriali.
Oggi, in particolare, i rapporti fra Stellantis e i sindacati mostrano due situazioni piuttosto diverse in Italia e negli Stati Uniti. Ma a ben guardare, ciò che fa la differenza, in questo momento, non sta tanto nella dinamica interna delle relazioni industriali, quanto nella cornice politica entro cui tali relazioni mostrano di avere attualmente sviluppi diversi.
Negli Stati Uniti, infatti, il gruppo Stellantis deve fronteggiare una vigorosa iniziativa sindacale che ha preso a proprio bersaglio, peraltro, tutte e tre le maggiori case costruttrici di autovetture: le famose Big Three, ovvero le tre grandi di Detroit: General Motors, Ford e Stellantis (un tempo, Chrysler). In Italia, invece, al di là di un riuscito sciopero unitario svoltosi lunedì a Melfi, il quadro appare segnato da un clima di incertezza.
Azzardo un’ipotesi. Negli Stati Uniti c’è un quadro di politica economica, quella sviluppata dall’Amministrazione guidata da Joe Biden, che implica anche una specifica politica industriale, quella che va sotto il nome di Ira (Inflation Reduction Act). Una politica che può essere oggetto di valutazioni anche contrapposte ma che, sicuramente, delinea un quadro abbastanza preciso, volto a favorire gli investimenti industriali. Ed ecco che, in questo quadro, lo United Auto Workers, il sindacato americano dell’auto, si è sentito abbastanza sicuro non solo della propria forza, ma delle prospettive economiche generali, tanto da poter lanciare una robusta campagna di rivendicazioni salariali.
In Italia, invece, il quadro di politica economica è confuso, mentre quello di politica industriale è addirittura indecifrabile. Ne segue che i protagonisti delle relazioni industriali, impresa e sindacati, sembrano congelati non tanto in attesa delle mosse del proprio interlocutore naturale, quanto in attesa che il Governo batta un colpo.
In questa settimana, in particolare, la situazione dei rapporti che i sindacati italiani hanno con il Gruppo Stellantis non ha ancora fatto nessun significativo passo avanti. E sì che, invece, proprio per il pomeriggio di martedì 19 settembre erano stati messi in calendario un paio di incontri in cui il gruppo automobilistico avrebbe dovuto offrire chiarimenti sui propri programmi produttivi, considerati sia in senso generale, per ciò che riguarda il nostro Paese, sia rispetto ai singoli stabilimenti esistenti sul territorio nazionale.
Ma cominciamo dall’inizio, ovvero da lunedì 18, la giornata per cui era stata già decisa l’effettuazione di uno sciopero unitario presso lo stabilimento di San Nicola di Melfi, in Basilicata. Infatti, venerdì 15, al termine di un incontro relativo al prossimo futuro di questa fabbrica, i sindacati firmatari del cosiddetto Ccsl (Contratto collettivo specifico di lavoro), ovvero Fim-Cisl. Uilm-Uil, Fismic, UglM e AqcfR, avevano indetto uno sciopero di otto ore per turno di lavoro. In particolare, i sindacati firmatari si erano detti insoddisfatti per i mancati chiarimenti aziendali sui progetti relativi all’assegnazione allo stabilimento di un quinto modello di autovettura da mettere in produzione. Inutile dire che anche la Fiom-Cgil ha chiamato i lavoratori a partecipare a questa iniziativa di lotta, nata nel clima di tensione che, negli ultimi tempi, ha coinvolto in Basilicata l’intero settore dell’automotive. Fatto sta che, raccontano le cronache locali, lo sciopero è stato coronato dal successo, mostrando l’effettiva capacità dei sindacati di interpretare le spinte presenti fra i lavoratori.
Martedì pomeriggio si sono poi tenuti a Roma, presso la sede Fiat di Monte Savello, i due incontri programmati: il primo con i suddetti sindacati firmatari del Ccsl, e il secondo, secondo una ritualità di derivazione Fca di cui Stellantis non riesce a liberarsi, con la sola Fiom.
Già prima dell’incontro, Gianluca Ficco, che nella Segreteria nazionale Uilm ha l’incarico di responsabile del settore auto, aveva osservato che “negli ultimi mesi si è gradualmente interrotto quel confronto che avevamo instaurato con Stellantis”. E aveva poi aggiunto che “paradossalmente, il tavolo istituzionale aperto presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy, anziché accelerare, ha rallentato il confronto sulle prospettive del Gruppo in Italia”.
Dal canto suo, Ferdinando Uliano, segretario nazionale Fim-Cisl, aveva detto che “si sta attardando la prima fase” del “confronto tra il gruppo Stellantis e il Governo italiano”; fase che “prevedeva la definizione di un piano di massima (…) dal quale far poi partire un confronto approfondito con gruppi di lavoro specifici” grazie anche al “coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, delle Istituzioni regionali e dell’Anfia”. Essendo il tutto finalizzato alla “definizione entro un anno di un accordo di sviluppo complessivo per Stellantis e per il settore” dell’automotive.
Pare insomma di capire che, almeno fin qui, il tavolo di confronto istituito al Mimit non sia riuscito a creare, in relazione al settore automotive, una cornice analitica e programmatica capace di rendere più fluido il confronto fra azienda e sindacati. Al contrario, Stellantis si è fatta usbergo delle incertezze del tavolo ministeriale per guadagnare tempo nel suo confronto con i sindacati.
Infatti, nel comunicato unitario emesso al termine dell’incontro di martedì pomeriggio, Fim, Uilm, Fismic, UglM e AqcfR si sono limitati a dichiarare che “Stellantis ci ha aggiornato sulla discussione in corso col ministero delle Imprese e del Made in Italy”; discussione che, a sua volta, “dovrebbe tradursi entro fine settembre in un documento che definirà un piano di lavoro a cui seguirà un confronto con le organizzazioni sindacali”.
Peraltro, sempre secondo i sindacati sopra ricordati, “Stellantis ha puntualizzato” che “giudica il piano italiano di incentivi per le auto elettriche non adeguato e non in linea con i maggiori Paesi europei”; che “la concorrenza cinese appare assai aggressiva sul piano dei costi”: e, infine, che “sarà decisiva la scelta che le Istituzioni faranno sul nuovo standard di motore euro 7”.
A questo punto, i sindacati, dopo essere tornati ad auspicare che il Governo riesca a “supportare il settore automotive di fronte alla decisione europea di passare all’elettrico”, hanno chiesto al Ministro Urso di concludere velocemente il percorso di consultazione con Stellantis per aprire la seconda fase di confronto diretto fra Governo, sindacato e azienda”. Salvo ad aggiungere che “non accetteremo ulteriori proroghe né da parte del Governo, né da parte di Stellantis”.
In serata, si è poi svolto, sempre presso la sede Fiat posta a pochi metri dalle rive del Tevere, il secondo incontro, quello che era stato richiesto dalla Fiom-Cgil “a seguito delle iniziative di sciopero che si sono svolte, nei giorni scorsi, per protestare contro il peggioramento delle condizioni di lavoro e per l’incertezza sul futuro”.
Stando al comunicato poi emesso dalla Fiom, sul primo punto, ovvero su “condizioni di lavoro, ritmi e saturazioni”, l’Azienda “si è impegnata ad aprire un confronto specifico con gli RLS (Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) in tutti gli stabilimenti”.
Sul secondo punto, ovvero “sulle prospettive industriali”, l’Azienda “ha rimandato al confronto con il Governo eventuali risposte e impegni”.
Ne segue, che per Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom responsabile settore mobilità, e Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive della stessa Fiom, una “convocazione urgente”, da parte del Ministro Urso, “non è più rinviabile”.
Ecco, dunque: attese; timori; preoccupazioni. Rese più forti, queste ultime, da ciò che è accaduto, sempre a Roma e sempre martedì 19, in un altro incontro che tutti i sindacati presenti nel settore automotive (Fim, Fiom, Uilm, Fismic, UglM e AqcfR) hanno avuto con la Marelli, un’azienda produttrice di componentistica auto che, fino a tempi molto recenti, ha fatto parte prima del mondo Fiat e poi di quello Fca. Nel corso di questo incontro, infatti, l’Azienda “ha annunciato la decisione di chiudere la fabbrica di Crevalcore”, ovvero uno stabilimento, sito in provincia di Bologna, che attualmente impiega 230 lavoratori.
Una decisione, questa, che, secondo quando riportato dai sindacati nel loro comunicato unitario, l’Azienda ha motivato con “l’aumento del costo dell’energia”, nonché con “la dinamica negativa delle attività legate al motore endotermico”.
In sostanza, il quadro economico-industriale che ha portato Marelli a decidere per la chiusura di Crevalcore, al di là di strategie aziendali sempre discutibili, è lo stesso che rende incerte le prospettive degli stabilimenti italiani di Stellantis.
“E’ da tempo – hanno scritto i sindacati nel comunicato sopra citato – che chiediamo riconversioni per le fabbriche legate al motore termico, senza le quali la chiusura di Crevalcore sarà solo la prima di una lunga serie, così come chiediamo di concentrare le risorse pubbliche sulle leve che possono salvaguardare e rilanciare l’industria di esportazione. E’ su queste priorità che si deve concentrare l’interesse del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, trasformando le dichiarazioni di principio sull’automotive in atti concreti.”
Conclusione provvisoria: venerdì 22 settembre, sciopero unitario di otto ore in tutto il gruppo Marelli per chiedere all’Azienda di “ritirare la decisione di chiusura della fabbrica di Crevalcore” e “per chiedere al Governo di convocare un tavolo di confronto”.
Stellantis e Marelli, l’abbiamo detto, non fanno più parte dello stesso gruppo, ma sono attive, anche se con proporzioni produttive e responsabilità strategiche assai diverse, nello stesso settore industriale. E questo, sindacati e lavoratori lo sanno molto bene.
Fernando Liuzzi