La Corte di Appello di Roma ha rigettato l’impugnazione del lavoratore che ha contestato il suo licenziamento per scarso rendimento che il tribunale, in precedenza, aveva già ritenuto legittimo.
Il dipendente era stato assunto come venditore di primo livello il 2 maggio 2005. Il contratto prevedeva che la sua prestazione lavorativa dovesse conseguire gli obiettivi di produzione stabiliti periodicamente dal datore di lavoro. Il tribunale e la Corte di Appello hanno valutato negativamente la produttività del collaboratore, confrontando i risultati da lui ottenuti con gli obiettivi aziendali e con i risultati conseguiti dagli altri collaboratori. Entrambe le sentenze hanno evidenziato che la società non aveva definito un metodo specifico per assegnare i clienti ai venditori, perché la distribuzione avveniva in modo casuale per poi essere eventualmente adattata dai venditori stessi, con un criterio di favore verso quelli che avevano clienti fidelizzati da tempo.
Per i giudici di merito le prove raccolte non supportavano l’accusa del lavoratore, secondo cui il datore di lavoro avrebbe favorito altri dipendenti a suo danno impedendo così il raggiungimento degli obiettivi.
Nella sentenza della Corte di Appello si afferma che non era rilevante il fatto che il codice disciplinare non fosse stato affisso nella bacheca aziendale, poiché il licenziamento era basato sull’inadempienza del lavoratore ai suoi doveri contrattuali dovuta a negligenza e imperizia. Il licenziamento era giustificato dalla costante mancanza di rispetto dei programmi di lavoro stabiliti precedentemente e dalla scarsa produttività nel periodo tra gennaio e giugno 2016.
Per questa tipologia di inadempimento non è previsto l’obbligo del datore di lavoro di affiggere in luogo accessibile a tutti il codice disciplinare aziendale contenente le norme di comportamento.
Contro la sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso in Cassazione il lavoratore.
La Cassazione ha respinto il ricorso confermando la legittimità del licenziamento. Nella sentenza sulla pubblicità delle norme disciplinari aziendali sono stati affermati i seguenti principi.
“Il potere di risolvere il contratto di lavoro subordinato in caso di notevole inadempimento degli obblighi contrattuali deriva al datore di lavoro direttamente dalla legge (art. 3 della L. n. 604 del 1966) e non necessita, per il suo legittimo esercizio, di una dettagliata previsione, nel contratto collettivo o nel regolamento disciplinare predisposto dal datore di lavoro, di ogni possibile ipotesi di comportamento integrante il suddetto requisito, spettando al giudice di verificare, ove si contesti la legittimità del recesso, se gli episodi addebitati integrino l’indicata fattispecie legale.
Pertanto, anche se non specificamente previste dalla normativa negoziale, costituiscono ragione di valida intimazione del recesso le gravi violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quei doveri, cioè, che sorreggono la stessa esistenza del rapporto, quali sono i doveri imposti dagli artt. 2104 e 2105 c.c., e quelli derivanti dalle direttive aziendali (Cass. n. 1305 del 2000; n. 7819 del 2001; n. 12500 del 2003; n. 16291 del 2004; n. 6893 del 2018). 15. Si è poi precisato che, in tema di sanzioni disciplinari di cui all’art. 7 della L. n. 300 del 1970, deve distinguersi tra illeciti relativi alla violazione di specifiche prescrizioni attinenti all’organizzazione aziendale e ai modi di produzione, conoscibili solamente in quanto espressamente previste, ed illeciti concernenti comportamenti manifestamente contrari ai doveri dei lavoratori e agli interessi dell’impresa, per i quali non è invece richiesta la specifica inclusione nel codice disciplinare, che è pertanto sufficiente sia redatto in forma tale da rendere chiare le ipotesi di infrazione, sia pure dandone una nozione schematica e non dettagliata, e da indicare le correlative previsioni sanzionatorie, anche se in maniera ampia e suscettibile di adattamento secondo le effettive e concrete inadempienze (Cass. n. 10201 del 2004).
- L’esigenza di predisposizione di una normativa secondaria, con connesso onere di pubblicità, è stata affermata da questa Corte, ad esempio, per il caso in cui gli addebiti contestati consistano “nella violazione di norme di azione derivanti da direttive aziendali, suscettibili di mutare nel tempo, in relazione a contingenze economiche e di mercato ed al grado di elasticità nell’applicazione”, richiedendosi che “l’ambito ed i limiti della loro rilevanza e gravità, ai fini disciplinari, (siano) previamente posti a conoscenza dei lavoratori, secondo le prescrizioni dell’art. 7 St. lav.” (Cass. n. 54 del 2017ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittima la sospensione di otto giorni irrogata ad un dipendente bancario, per la violazione di una circolare interna sulla gestione del credito e delle relative istruzioni operative, pur in mancanza dell’affissione del codice disciplinare; v. anche Cass. n. 22326 del 2013secondo cui “deve essere data adeguata pubblicità al codice disciplinare con riferimento a comportamenti che violano mere prassi operative, non integranti usi normativi o negoziali; in applicazione di detto principio, la S.C. ha ritenuto rilevante la mancata affissione del codice disciplinare, in fattispecie in cui il lavoratore era stato licenziato perché non si era attenuto alle regole operative fissate dalla banca per la valutazione del rischio di illiquidità).
La Corte di merito si è attenuta ai principi appena richiamati ed ha considerato non necessaria la pubblicità del codice disciplinare in relazione alla condotta contestata al dipendente ed esigibile “in ragione della stessa stipulazione… del contratto di lavoro”; condotta consistita in un “grave inadempimento della prestazione lavorativa, rimproverabile al lavoratore a titolo di colpa per la negligenza e l’imperizia con cui aveva eseguito le mansioni di sua pertinenza”, dato “l’oggettivo divario tra il suo rendimento e le soglie produttive previste dal programma aziendale di produzione”, oggetto di accertamento non censurato col ricorso in Appello.”
Cassazione civile sez. lav., 14/07/2023, n.20284.
Biagio Cartillone