Fino a nemmeno troppi giorni fa Parco Verde di Caivano, già non luogo di per sé, era sconosciuto alla maggior parte degli italiani e comunque ancora si stenta a collocarlo sulla cartina – a nord di Napoli, sul confine tra Caserta e Aversa. Oggi tristemente questo nome è passato nelle orecchie e sotto gli occhi di tutti e il carosello di panoramiche e droni dei telegiornali ci hanno reso familiare questo conglomerato di cemento e disagio. Qui di verde ce n’è ben poco, come hanno arguito tutti gli organi di stampa, ma fosse questo il problema saremmo già a buon punto per la sua risoluzione. Parco Verde di Caivano è nato dopo il terremoto del 23 novembre 1980, quando le vittime nella sola Campania furono quasi 3.000, 300mila senza tetto, 18 comuni rasi al suolo e 99 definiti “devastati”. Una ricostruzione imponente con fiumi di denaro destinati alle province di Avellino Benevento, Salerno, Caserta, Matera, Potenza, Foggia e alla città di Napoli, per la quale venne inserito nella legge 219 un apposito capitolo. Ecco, Parco Verde di Caivano viene messo in piedi in fretta e furia come rifugio provvisorio per tanti di quegli sfollati e salutato come promessa dell’edilizia che sarebbe diventata permanente con migliorie urbane e servizi efficienti. Non serve a granché ribadire che dove spesso c’è denaro c’è malavita, che dove ci sono golosi appalti si allunga l’ombra lunga delle mafie; così come – tristemente – non è necessario ribadire che dove ci sono promesse si annidano anche le delusioni.
Parco Verde di Caivano è il ricettacolo dell’errore, dell’incuria, dell’abbandono; “la più grande piazza di spaccio d’Europa” (primato d’effetto conteso anche con Secondigliano, Scampia, Gioia Tauro, tirato fuori all’occorrenza a seconda della cornice dello scandalo). Un’enorme delusione. Anzi, «il fallimento dello Stato», come ha affermato la premier Giorgia Meloni in visita dei luoghi in cui si è consumato l’orrore degli abusi sulle due cuginette di dieci e dodici anni da parte di – si dice – quindici minori di quattordici anni e per questo non perseguibili penalmente. «Caivano è l’inferno dei vivi», tuona lugubre il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che invoca addirittura l’intervento dell’esercito in quella che descrive come una bolgia dantesca. All’indomani della resa pubblica del fatto, Don Patriciello, il parroco “anti-mafia” del luogo, denuncia il degrado sociale come matrice dei fatti e invita politici, istituzioni e addirittura il Papa a far visita a questo inferno, condividendo la rassegnata consapevolezza che di questa vicenda – come di tante altre, così come degli altri cancri metastatizzati che divorano dall’interno molte comunità – presto l’opinione pubblica se ne dimenticherà.
Ma il governo Meloni «è determinato a riaffermare la sicurezza e la legalità su tutto il territorio nazionale, a partire dalle aree da troppo tempo in sofferenza», rassicura il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, nel giorno del maxi blitz interforze “Alto Impatto” a Parco Verde: 400 uomini in divisa hanno circondato la zona ed eseguito controlli e perquisizioni in cerca di stupefacenti, armi, latitanti e denaro provento di estorsioni e spaccio. «Abbiamo iniziato con le grandi stazioni, poi Ostia, oggi Caivano e nei prossimi giorni andremo in altri contesti problematici. Lo Stato lavora per riportare la sicurezza in ogni periferia del paese» e «contro la criminalità procederemo sempre spediti e senza esitazioni», aggiunge Meloni, «affinché in Italia non ci siano più zone franche». È questa quindi la direzione intrapresa dal governo, che domani, mercoledì 6 settembre, si riunirà a Palazzo Chigi in una riunione preparatoria in vista del Consiglio dei ministri di giovedì 7 settembre. Nell’odg del pre-esame si analizzerà il dl Sud recante “Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione e per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese”, e un dl con il pacchetto sicurezza post Caivano con “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”, che secondo le prime indiscrezioni prevede la possibilità di disporre l’allontanamento da determinate aree urbane (il cosiddetto “Dacur”, Divieto di accesso alle aree urbane) ai minori tra 14 e 18 anni, l’avviso orale del questore per la stessa fascia d’età, e il contrasto della diffusione delle armi da fuoco. Non solo Caivano, non solo Palermo. A Napoli, nei giorni scorsi, si è consumata l’ennesima tragedia con l’uccisione di un 24enne per un litigio a causa di uno scooter parcheggiato male.
Un inferno che dilaga e che sembra non conoscere fine, per cui l’inasprimento delle pene, la messa a punto di pacchetti di misure, invocare l’esercito e i forconi o dare la colpa alla tv e pornografia (la ministra della famiglia, Eugenia Roccella, ha proposto il limite d’età verificato per l’accesso ai siti a luci rosse) non sembrano portare più in là del domani. Isolare i colpevoli, punirli con il confino, minacciarli di castrazione chimica somiglia alla giornalata sul muso del cane quando fa i bisogni in casa, creando solo un effetto condizionato senza capire bene il perché. Il problema è socio-educativo, socio-economico; è un enorme problema culturale che fino ad adesso è stato arginato dal buon cuore dei volontari e dei preti, invogliati dalle istituzioni ad assumersi la responsabilità altrui, a unirsi alla legione straniera per combattere il crimine e vedersi spediti nelle terre di conquista a rendere il mondo un posto migliore contando solo sulle proprie forze. Ma non basta, come ha ben detto Don Ciotti alla trasmissione In Onda su La7: «Prete antimafia, prete antidroga oppure prete di strada, queste sono etichette che non vanno bene. Noi siamo preti e facciamo i preti. Ce la mettiamo tutta per lottare contro il male, per la giustizia sociale, per la libertà e la dignità delle persone». Scrive la premier Meloni sui social: «Oggi è iniziata l’operazione di bonifica del Parco Verde di Caivano». E “bonifica” non sembra essere il termine più adatto (al di là della dissonanza storica in bocca a un’esponente ultra-conservatrice), perché di fatto demolisce e sparge il sale su un territorio abitato anche da gente onesta, “meravigliosa” come dice a più riprese anche Don Ciotti nel suo intervento, che in questa e altre vicende vengono solo assimilate all’orrore come parte per il tutto. Quello che manca è la risposta della politica, che deve «dare delle risposte concrete, al di là del saper abbellire un palazzo, e la risposta giusta non può essere consegnata solo alla presenza militare dal momento che i delinquenti si spostano e vanno da un’altra parte» (come indirizzerebbe il Dacur). «Creare le condizioni sociali, educative e culturali. Nei territori bisogna promuovere una serie di opportunità e di servizi per le persone», e questo vale «per tutte le periferie che si trovano ai margini del nostro Paese. Inondare questi territori di presenze, di progetti, di proposte per le famiglie e per i ragazzi». La parola chiave, quindi, è prevenzione, «che chiama in gioco la scuola e le altre agenzie educative». L’Italia, ricorda ancora Don Ciotti, è tra i Paesi europei con la percentuale più alta di povertà educativa e dispersione scolastica. «Ci sono delle responsabilità e il pensiero va ai giovani che si sono persi per strada e vivono in contesti dove non riescono a trovare le opportunità e dei riferimenti necessari per fare un salto di qualità. Noi dobbiamo fare di più e portare il nostro contributo, anche alzare il volume della nostra voce per chiedere ciò che è giusto».
In tutto questo parlare, in questi tonanti proclami, visite istituzionali, pugni di ferro e bonifiche di fuoco; in questo torrente di promesse e rassicurazioni, di giustizialismo e denti serrati, viene naturale domandarsi, a latere, se tra chi sta mettendo a punto il “pacchetto Caivano”, anche questo una parte per il tutto, sia sovvenuto il definanziamento dei progetti di rigenerazione urbana, volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale, occorsi con la revisione da 16 miliardi del Pnrr. Un vero peccato.
Elettra Raffaela Melucci