Barbie non è solo una bambola di belle fattezze che ha attraversato l’immaginario di generazioni e generazioni di bambine. L’icona bionda – ma anche bruna, rossa, asiatica, afrodiscendente, pellerossa, in carrozzella, con l’apparecchio acustico, con la protesi alla gamba, con la vitiligine, con la sindrome di Down – è stata l’ambasciatrice dell’essere donna attraverso il tempo, lo spazio, la cultura, testimone dei cambiamenti di una sensibilità collettiva lentamente scardinata dall’immutabilità di una visione stantia della rappresentazione della donna. Che pure persiste, sia chiaro. Ma il fatto che la bambola più stereotipata del mercato, che volente o nolente è entrata nelle camerette della maggior parte delle bambine (e dei bambini) del mondo che ce l’ha fatta, sia stata adattata a questa (vivaddio) evoluzione socio-culturale è sottilmente sintomatico e importante.
Lo scorso 20 luglio Barbie è approdata al cinema con il live action firmato Greta Gerwing, co-prodotto dalla Mattel che rivela quanto anche nelle pieghe di questo mega marchettone pubblicitario la casa madre si prenda gioco di sé stessa e di tutto quanto ha rappresentato dal 1959 a oggi. La sequenza di apertura racconta di fatto quanto la “life in plastic” sia “fantastic”: il totale disimpegno, i buoni sentimenti, sorrisi smaglianti, capelli fluenti, il sole sempre alto e nulla a turbare la perfetta serenità di Barbieland. Le Barbie ci sono tutte: Barbie dottoressa, Barbie presidente, Barbie scrittrice, Barbie fisica, Barbie avvocato, Barbie giudice, Barbie diplomatica, Barbie giornalista e anche la Barbie incinta. “Puoi essere tutto ciò che desideri” è il messaggio spiattellato in colori smaglianti e nulla potrà frapporsi tra te e tuoi sogni. Nemmeno (i) Ken, soprattutto (i) Ken, che esiste solo in funzione della sua amata controparte femminile ed è a lei totalmente devoto e serenamente sottoposto. [SPOLIER ALERT] Per una serie di concatenazioni, la protagonista, Barbie Stereotipo, interpretata da Margot Robbie, desidera diventare umana, ma nel frattempo Ken (Ryan Gosling) – in una incursione nel mondo reale – scopre il patriarcato assistendo alla parata del maschilismo e decide di fare la controrivoluzione ribaltando l’assetto che regola Barbieland. Una rappresentazione esilarante degli stereotipi semplificati in maniera intelligente, non una favola per bambini (che pure accorrono a frotte in sala) ma per adulti assuefatti a metodi e metodologie che dovrebbero essere superate, eppure sono ancora vigenti.
“Puoi essere tutto ciò che desideri” è quello che rimane più impresso. Un messaggio scontato? Mica tanto. Le donne, statisticamente più qualificate, preparate e performanti degli uomini, continuano a essere poste ai margini del mondo reale e la nostra rivoluzione stenta a prendere piede. A differenza di Barbieland, le donne continuano a esistere solo in funzione degli uomini, del loro sguardo che ne attesta la presenza al mondo, del loro assenso. Se le donne faticano a sedersi al tavolo del potere, a volte accade che anche quando vi approdano le sedie non vengano preparate per loro. Quando poi si prova ad autodeterminarsi, semplicemente a vivere secondo i propri desideri, i Ken non riescono ad accettare l’insubordinazione e finiscono per eliminare i problemi alla radice. Quei problemi si chiamano Pierpaola Romano, Maria Brigida Pesacane, Svetlana Ghenciu, Margherita Ceschin, Maria Michelle Causo, Mariella Marino, Angela Gioiello, Sofia Castelli, Anna Scala, Giulia Tramontano, Celine Frei Matzohl, Vera Schiopu. Donne vittime di femminicidio che semplicemente volevano vivere, che forse nemmeno si facevano partigiane dell’emancipazione, ma che quegli uomini non potevano lasciare andare proprio perché se non sotto il loro occhio la loro vita non aveva ragione di proseguire. Così come lo stupro di gruppo a Palermo e la violenza su due cuginette a Caivano. La banalità del male, il sonno della ragione.
Alla fine del film ci siamo guardati intorno, divertiti ma anche un po’ perplessi, chiedendoci in che misura siamo stati chiamati in causa dalla parabola di Barbie e Ken e dalla loro rivoluzione e controrivoluzione, ma soprattutto ci siamo chiesti qual è il nostro ruolo, quali le nostre responsabilità. Nel film le Barbie e i Ken all’inizio erano una comunità compatta, poi due gruppi separati e poi di nuovo una comunità coesa, ma comunque agivano pur sempre uniti perché solo in quel modo la perfetta serenità di Barbieland riusciva a restare in piedi. Noi, invece, continuiamo a pensare da individui, da società atomizzata che proprio non riesce a comporsi materia. Forse il problema è che si è totalmente perso quel senso di collettività che aveva funzionato così bene negli anni Settanta. A questo punto della Storia dovremmo cominciare a pensare di non volerlo aggiustare questo mondo, ma di cambiarlo totalmente e farlo insieme, perché solo così si può.
Elettra Raffaela Melucci