Le notizie su un rallentamento in atto della corsa dei prezzi al consumo fanno certamente piacere. Tuttavia sarebbe bene evitare di cadere nell’illusione che si sia attenuato l’impatto della rasoiata subita dal valore di acquisto reale di stipendi e pensioni negli ultimi tre anni.
La ragione è banale, ma è bene non dimenticarla e ribadirla: stiamo parlando di un rallentamento dell’inflazione di oggi, cioè di rincari che, seppure meno plateali di quelli precedenti, si vanno a sommare alla perdita di potere di acquisto già consolidata nei mesi passati.
Certo, nel frattempo sono stati anche concessi alcuni aumenti. Gli ultimi dati Istat ci dicono, per esempio, che a giugno 2023, l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie ha segnato un aumento dell’1,0 per cento rispetto al mese precedente e del 3,1 rispetto a giugno 2022; l’aumento tendenziale è stato del 3,9 per cento per i dipendenti dell’industria, dell’1,6 per quelli dei servizi privati e del 4,4 per i lavoratori della pubblica amministrazione.
Ma sono sufficienti a recuperare un potere di acquisto falcidiato da un’inflazione che, almeno nell’ultimo anno, è stata per buona parte anche “da profitti”, come ha segnalato la Banca centrale europea?
Meglio il poco del niente, si dirà. Ed è vero. Tuttavia ormai è chiaro che l’inflazione ha ridotto il potere di acquisto in misura molto più elevata di quanto abbiano potuto portare gli aumenti concordati. Senza contare il fatto incontrovertibile che questo duro colpo è arrivato dopo trent’anni di variazioni reali di fatto nulle o quasi.
Per capirlo basti guardare una piccola e rozza, ma significativa, tabella costruita con i calcolatori automatici organizzati da diversi studi legali sulla devalutazione (gli avvocati chiamano così il calcolo della perdita di potere di acquisto da far valere nelle controversie legali, calcolo basato sull’indice Istat Foi) intervenuta tra il giugno del 2020 e il giugno del 2023. Una tabella semplice, semplice con centesimi arrotondati all’unità e che riguarda gli stipendi mensili netti da 800 a 3000 euro, un range che comprende la maggior parte dei lavoratori dipendenti (esclusi i dirigenti di diverso livello).
Il risultato è una rasoiata radicale, rispetto alla quale anche gli aumenti più importanti non hanno dato rimedio.
Stipendio netto in euro/giugno 2020 Valore reale stessi euro/ giugno 2023
800,00 691,00
1000,00 863,00
1200,00 1036,00
1400,00 1209,00
1600,00 1381,00
1800,00 1554,00
2000,00 1727,00
2500,00 2159,00
3000,00 2591,00
Roberto Seghetti