Proprio in questi giorni si è da più parti ricordato lo storico Protocollo Ciampi del 23 luglio 1993, come esempio mai più raggiunto di condivisione di intenti (“concertazione”) tra Governo e parti sociali. Un accordo che ridusse l’inflazione, promosse la contrattazione e ci fece entrare nella moneta unica a testa alta. Nessun intento nostalgico, erano tempi diversi: la crisi dei partiti dovuta a Tangentopoli, un Governo “tecnico” di altissimo livello (l’ex governatore della Banca d’Italia Presidente del Consiglio, Gino Giugni Ministro del Lavoro), Confindustria e Sindacati che sapevano fare accordi generali, non solo contratti di settore.
Ma quell’esempio è d’obbligo se si pensa al confronto (fino ad ora sterile) sui livelli retributivi e la necessità di introdurre per legge (come in molti paesi europei) l’istituto del “salario minimo”. Un dibattito che sembra surreale, diviso tra chi lo sostiene con forza (il PD), il Governo che preferisce le libere dinamiche contrattuali, il sindacato diviso, la Confindustria disponibile ad andare anche oltre i 9 Euro. Ora, di fronte al rinvio a settembre delle decisioni in materia, sembra si sia aperta un’occasione d’oro per far uscire dal congelatore le dinamiche retributive italiane senza produrre nuova inflazione. Toccherebbe al Governo promuovere soluzioni e dinamiche condivise, ma è difficile immaginare che vogliano o possano andare oltre la loro cultura libero-mercantile.
Perché la discussione sia meno astratta (e più vicina al “lavoro in carne ed ossa”, come avrebbe detto Bruno Trentin) sarebbe allora auspicabile si arrivasse a settembre con un pre-accordo tra Confindustria e sindacati che definisse 3 semplici cose. 1. La dimensione più equa della paga oraria lorda minima di legge: che non faccia concorrenza sleale ai contratti ma impedisca l’ulteriore diffondersi del “lavoro povero” e irregolare. 2. La semplificazione del sistema contrattuale nazionale: 1000 CCNL di settore (di cui la metà scaduti) sono assurdi e inaccettabili. 3. Che le giuste differenze retributive tra aziende, settori e territori si facciano con uno sviluppo diffuso (anche al SUD) della contrattazione aziendale (e non con i “bonus”, i sussidi, gli sconti fiscali urbi et orbi, i contratti nazionali farlocchi). Solo un nuovo rapporto tra produttività e retribuzioni (sia nel privato che nel pubblico) può rimettere in moto le dinamiche di sviluppo del Paese senza accrescerne le diseguaglianze. Speriamo, passata la calura estiva, in un rigurgito di buon senso.
Gaetano Sateriale