Il 23 luglio del ’93, trent’anni fa, ci fu un grande rinnovamento delle relazioni industriali italiane. Con il Protocollo Ciampi, Governo e parti sociali concordarono le scelte di una politica dei redditi che ridusse l’inflazione e stabilizzò il sistema contrattuale a due livelli (nazionale ed aziendale). Prima di allora c’erano stati un paio di tentativi di ridurre unilateralmente la dinamica inflazionistica. Il primo nel dicembre ’91, quando il dimissionario Governo Andreotti congelò senza accordo alcuni decimali della scala mobile. Il secondo, nel luglio ’92, quando il Governo Amato cancellò la scala mobile e sospese la contrattazione collettiva (in cambio di 20.000 lire mensili erogate dall’1 gennaio ’93), con un accordo firmato anche da Cgil Cisl e Uil che produsse le dimissioni (poi ritirate) di Bruno Trentin e “l’autunno dei bulloni” lanciati nei comizi contro i dirigenti del sindacato.
Con Ciampi le relazioni tra parti sociali e Governo si ricomposero in modo proficuo per tutti. Si trattava di definire obiettivi di sviluppo del Paese coerenti con il Trattato di Maastricht, ridurre l’inflazione ma nello stesso tempo regolare e consentire lo svolgimento di una autonoma dinamica contrattuale. A questo scopo nell’accordo del 23 luglio venne inserito il principio di “inflazione programmata” (proposto anni prima da Ezio Tarantelli) quale misura delle dinamiche retributive. Quel metodo di confronto e relazione “triangolare” tra Governo e parti sociali venne giustamente chiamato “concertazione” perché ogni soggetto avrebbe continuato a “suonare” i propri strumenti e la propria partitura ma in forma armonica con gli altri.
Su quell’onda di dialogo il 20 dicembre Cgil Cisl Uil e Confindustria raggiunsero un accordo sulla costituzione e le funzioni contrattuali delle RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie). Il ’93 fu insomma l’inizio di un periodo storico nuovo per le relazioni sindacali e contrattuali italiane che avviava una politica dei redditi più equa, riduceva l’inflazione e riduceva anche la quantità di scioperi necessari per il rinnovo dei contratti. Tanto che nel luglio del ’94 il Contratto nazionale dei metalmeccanici fu firmato per la prima (e forse ultima) volta senza un’ora di sciopero.
Perché fu possibile un’innovazione tanto radicale e perché venne cancellata di lì a qualche anno? Fu possibile e persino necessaria perché in quegli anni il sistema politico dei partiti era stato completamente messo fuori gioco dalle inchieste di “Mani pulite” e il Governo Ciampi si trovava senza una maggioranza solida in Parlamento su cui poggiare le necessarie riforme politiche ed economiche da adottare per entrare nell’UE dell’Euro dalla porta principale. La “concertazione” economica e sociale era allo stesso tempo la misura di un consenso largo verso un Governo “tecnico” e il riconoscimento di un “ruolo politico” ai rappresentanti del lavoro e delle imprese, che divennero co-protagonisti delle scelte economiche di quegli anni. Quel nuovo potere delle parti sociali non piaceva ai partiti che, appena usciti dalla loro crisi di credibilità e di “moralità”, fecero di tutto per svuotare i percorsi di concertazione e indebolire l’unità sindacale che li aveva resi possibili. Prima nell’ambito dei governi di centro sinistra della fine degli anni 90, poi con l’entrata in campo dei governi di centro destra nel primi anni 2000.
Quell’esperienza di grande innovazione ha ancora significato? Rappresenta un modello da riutilizzare o da relegare ai libri di storia delle relazioni industriali?
Certo, la situazione oggi è molto diversa su tanti versanti: l’inflazione alta è generata da extraprofitti, dinamiche internazionali dei prezzi e speculazioni locali (non da crescite retributive); si è moltiplicato il numero dei Contratti Nazionali vigenti (e di quelli non rinnovati); si è ridotta la contrattazione aziendale; i salari monetari sono rimasti sostanzialmente bloccati, quelli reali perdono potere d’acquisto; il lavoro è sempre più irregolare e sempre meno tutelato. L’Italia occupa certo un posto di rilievo nell’UE e nella sua economia, ma il Paese si è infragilito: sono aumentate le diseguaglianze sociali, territoriali, economiche, ambientali e persino istituzionali; è cresciuta la povertà; i servizi fondamentali (sanità, assistenza) non sono in grado di garantire i Livelli Essenziali previsti dalla legge; la popolazione invecchia; il territorio (sottoposto ai fenomeni estremi derivanti dal cambiamento climatico) è privo da anni di qualsiasi intervento manutentivo; la cultura dell’emergenza ha preso il posto di quella della prevenzione.
Insomma, ci sarebbe urgenza di un approfondito confronto fra istituzioni, partiti e forze sociali alla ricerca di obiettivi condivisi per le “riforme” economiche e fiscali da avviare nel Paese e invece si preferisce (da molti anni) l’intervento ex post a colpi di “bonus”, “ristorni”, aiuti, sconti fiscali. E nemmeno l’occasione irripetibile offerta dalle risorse del PNRR è oggetto di accordo fra istituzioni e parti sociali, né a livello nazionale né a livello regionale e locale. Insomma, invece della concertazione si preferisce suonare ognuno la propria musica infischiandosene delle stonature e dello “sconcerto” che ne deriva tra i cittadini e gli elettori. Difficile immaginare che la disarmonia produca consenso.
Gaetano Sateriale