L’industria audiovisiva italiana va vista come una risorsa e non come accessorio dell’economia. Negli Stati Uniti il cinema è una vera e propria industria: secondo i dati contenuti nel report annuale della Motion Picture Association, l’industria del cinema e della tv statunitensi si compone di 122 mila imprese e che impiega 2,4 milioni di persone. A livello mondiale, il comparto dell’audiovisivo genera ricavi per 68 miliardi di dollari, secondo un Report di Markets And Markets, con una previsione di crescita a 92 miliardi di dollari entro il 2030. Il risultato statunitense, in particolare, è frutto di un’impostazione culturale ben precisa che in Italia – seppure a fasi alterne e con fatica – sta cominciando a essere recepita nella sua globalità.
Secondo quanto emerso dall’incontro “L’occupazione nella filiera cineaudiovisiva”, convocato nella Saletta dell’Anica a Roma e aperto da una ricerca di Andrea Montanino, Chief economist e Direttore strategie settoriali e impatto della Cassa depositi e prestiti, per ogni euro investito nel settore cinematografico e audiovisivo, se ne creano 3,54, anche in altri campi economici, con lo sviluppo maggiore dell’occupazione cineaudiovisiva situato nel Mezzogiorno. Ma nei prossimi anni servono 50mila nuovi addetti nelle imprese audiovisive. Tecnici audio video, operatori di ripresa e produzione audiovideo, registi, direttori artistici, sceneggiatori, scenografi, tecnici di produzione radio tv, cinematografica e teatrale, tecnici web, ingegneri industriali e gestionali, tecnici di marketing. Posti di lavoro qualificati, altamente specializzati. I candidati però sono difficili da trovare. Esempio, il 57% delle imprese fatica ad assumere tecnici web per il settore, il 51% non reperisce ingegneri, il 41% non trova esperti in applicazioni audio video (qui ci sono 18 mila posti vacanti).
Dalla ricerca di Cassa depositi e prestiti viene alla luce un’industria in grande movimento. Il valore dei prodotti esportati dai Paesi europei cresce del 70% fra il 2014 e il 2021; in valore assoluto esportazioni per 8 miliardi di dollari verso i Paesi Ue e 10 miliardi di dollari verso i Paesi non europei. Notevole è la capacità di creare lavoro: ogni 100 milioni di euro di maggiore domanda di produzione audiovisiva in Italia, nascono 2.281 posti che si distribuiscono nella filiera audiovisiva, ma anche in altri comparti collegati. Per ciascun euro investito il settore lo moltiplica per 3,54. Inoltre: per ogni 100 milioni di maggiore domanda al Sud e nelle isole si creano 3.163 posti. Più al Sud che in altre zone: nel Nord ovest i nuovi posti sono 1.881, nel Nord est 2.101, al Centro 2.011.
All’invito dell’Anica – informa una nota – hanno risposto rappresentanti di Governo e Parlamento, per ascoltare le esigenze del settore e modulare le risposte da offrire. Giorgio Tosi Beleffi, in rappresentanza del ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, ha affermato che “la produzione audiovisiva è sempre più strumento centrale per promuovere e valorizzare cultura, valori e attrattività dell’Italia” e che si sta valutando il modo più opportuno per estendere il tax credit; inoltre, ha ricordato il supporto al processo di digitalizzazione e formazione delle competenze digitali e il bando da 11 milioni di euro per l’innovazione delle imprese dell’audiovisivo.
Il presidente di Anica Francesco Rutelli ha sottolineato “il significativo aspetto occupazionale dell’industria cinematografica e audiovisiva, un comparto che dà molti buoni posti di lavoro – e molti in più vanno formati – un settore determinante anche per la promozione del nostro Paese nel mondo e per il turismo. Ci aspettiamo dal Governo e dal Parlamento la certezza sulle risorse e sui tempi, la semplificazione delle procedure”.
Ma i cosiddetti lavoratori dello spettacolo soffrono una discontinuità e una deregolamentazione che dovrebbe essere al centro delle indagini ancora prima di lustrare le mostrine di questo comparto in espansione. Secondo quanto emerso dalla ricerca “Dietro le quinte, Indagine sul lavoro autonomo nell’audiovisivo e nell’editoria libraria”, realizzata per Acta, i lavoratori del comparto riscontrano molte difficoltà a trovare contratti regolari, paghe proporzionali alle mansioni svolte e continuità di lavoro. È soprattutto la contrattazione a dare problemi: nel mondo dell’audiovisivo ci sono sette principali tipi di contratti collettivi, tra i tanti altri esistenti, che spesso vengono applicati senza tenere conto di alcune attività che vengono poi effettivamente svolte dai lavoratori, generando conflitto anche sulle giornate minime utili per ottenere le indennità, fondamentali considerata la natura discontinua di questo tipo di lavoro, con un abuso di contratti a termine. C’è poi un aumento del ricorso al lavoro autonomo, soprattutto per i lavoratori del reparto autoriale, che accettano paghe al ribasso senza la firma di un contratto e ricevono lo stesso trattamento di una ditta in subappalto.
Queste sono solo alcune delle criticità di cui soffre il comparto audiovisivo in termini di diritti dei lavoratori. E i sindacati che ruolo giocano? Secondo lo studio, nella percezione dei lavoratori le parti sociali non hanno un ruolo, anche se sigle tradizionali continuano a dialogare con Anica, l’associazione delle industrie cinematografiche che aderisce a Confindustria. Sembra manchi una visione collettiva del lavoro, parcellizzata a monte da un sistema al ribasso che mina le tutele facendo leva sul ricatto del “privilegio di fare il lavoro che si ama”, pregiudizio diffuso che riguarda il mondo dei creativi. Però è bello guardare un film italiano, sentirsi orgogliosi del nostro genio creativo quando si vincono targhe e statuette nei principali festival internazionali, senza domandarsi cosa c’è dietro e anzi, magari immaginare che tutti quelli che lavorano nello spettacolo siano dei privilegiati. Quello che succede dietro le quinte, resta dietro le quinte.
Elettra Raffaela Melucci