Kyriakos Mitsotakis ha ottenuto la desiderata maggioranza assoluta. Ora potrà governare da solo. La Grecia va ancora più a destra. La sinistra di Alex Tsipras sprofonda al 17,8 per cento. In Parlamentano entrano anche gli “spartani”, gli eredi della neonazista Alba Dorata. La culla dell’Occidente sembra quasi avere nostalgia dei colonnelli. È l’epitome di come sta andando il mondo. A gonfiare di consensi le vele della reazione, come da manuale, sono la crisi economica e la paura degli stranieri. “Linea dura con i migranti”, conferma il vincitore delle elezioni. Ma cos’altro può succedere dopo l’orrore di Pylos?
Il peschereccio affondato al largo del Peloponneso nella notte tra il 15 e il 16 giugno trattiene ancora, imprigionati all’interno della stiva, orrida bara d’acciaio, centinaia di morti, per lo più donne e bambini. Non si sa nemmeno quale sia il numero esatto delle vittime E i loro nomi non saranno mai conosciuti.
Antonella Mariani, su Avvenire, ha tracciato un agghiacciante parallelo tra questa tragedia e la disavventura del Titan, il piccolo sottomarino disperso in fondo all’Atlantico: “Shazada, uomo d’affari inglese di origine pakistana e il figlio diciannovenne Suleman; il miliardario inglese Hamish; lo studioso francese Paul-Henry; e infine Stockton, l’organizzatore della spedizione sulle tracce del Titanic. Ciascuno di loro ha un nome, un volto, una storia. Non ha goduto dello stesso privilegio la gran parte delle vittime dell’altro naufragio, accaduto quasi in contemporanea. Si erano imbarcati non per un’avventura, non per un’esplorazione ma per fame, per speranza, per un futuro. Il contrasto è straziante, a pensarci fa male. Il mondo trattiene il fiato per cinque uomini prigionieri in fondo all’Oceano e si gira distratto dall’altra parte di fronte al Mediterraneo diventato un cimitero. Forse perché, come si è letto sui social, i morti davanti alla Grecia, così come quelli davanti alla Libia, alla Tunisia, a Lampedusa, alla Calabria, non erano naufraghi. Erano poveri”.
Sempre sul quotidiano dei vescovi, Luca Maria Scarantino rincara la dose: “Quel che lascia senza parole è l’osceno degrado morale, il disfacimento di una civiltà che, contro tutta la propria storia, accetta con indifferenza la morte quotidiana di donne, uomini e bambini. Che li lascia annegare a migliaia sotto le nostre coste, sotto le nostre stesse case. Che osserva con freddo distacco i roghi di Lesbo. Che si volta dall’altra parte di fronte alle torture, agli stupri, alle sevizie inflitte ai migranti nel lungo cammino verso le coste del Nord Africa”.
In questo deserto fisico e simbolico anche le parole fuggono via come inutili granelli di sabbia. O meglio, come sassolini gettati in mare, con il pazzesco desiderio di risvegliare dal loro acqueo sepolcro quei miseri corpicini. No, non dormono. Sono annegati, gridando mentre l’acqua gli riempiva la bocca e paralizzava i polmoni. Mamma, papà, dove siete? Perché, perché, perché?
Forse li ha uditi Nemeo, il vecchio del mare, che regnava prima di Poseidone e si connotava, come racconta Kàroly Kerènyi nel suo “Gli dèi e gli eroi della Grecia” citando Esiodo, per essere verace e benigno: “Mai mente ma dice sempre la verità. Mai egli si discosta dal giusto, ma tende sempre verso la giustizia e la bontà”.
No, nemmeno la mitica figura ittiforme li ha potuti salvare. Perché sono gli uomini a forgiare il proprio destino e quello dei loro simili. “Linea dura contro i migranti”, è il mantra per conquistare il potere. Nell’Ellade come in Esperia.
A prevalere è di nuovo la logica della tribù che esclude, e considera nemici, coloro nelle cui vene non scorre lo stesso sangue, non condividono la stessa stirpe, non occupano la stessa terra. Ed ecco la Nazione intesa come una grande tribù, una “comunità di destino”, appunto.
Ma il saggio è per sua natura cittadino del mondo. Lo diceva già Platone. E il cosmopolitismo non è nato proprio in Grecia? Alla faccia dei colonnelli e dei loro epigoni. Affogatori di innocenti.
Marco Cianca