Tremate, tremate, le streghe son tornate. Così scandivano le femministe nelle piazze italiane negli anni Settanta. Forse adesso non è proprio così, le streghe non stanno per tornare, ma c’è un altro ritorno in vista, quello della Flm, il mitico sindacato unitario dei metalmeccanici che giusto in quegli anni guidava il movimento operaio con la forza delle sue idee. I sindacati dei metalmeccanici, la Fiom, la Fim e la Uilm, stanno vivendo una nuova primavera. Non hanno dato nuova vita alla loro storica sigla unitaria, ma sono tornati a fare politica assieme. E hanno deciso di scendere in piazza, con uno sciopero vero, anche se solo di 4 ore e con due manifestazioni diverse, al Nord il 7 luglio, al Sud il 10. E lo fanno mentre le confederazioni, la Cgil, la Cisl e la Uil, portano avanti una trattativa difficile con il governo, ma si guardano bene dal dichiarare scioperi. Fanno manifestazioni in piazza, come quella della Cgil sabato 24 a sostegno della sanità pubblica, ma si fermano lì. E sono divise tra loro, non profondamente, vanno assieme dal governo, hanno una piattaforma rivendicativa comune su tutti gli argomenti, ma la sensazione diffusa è che abbiano in mente strategie differenti.
I metalmeccanici invece vivono con baldanza questa nuova primavera, alzano il tiro con il governo, procedono uniti, e uniti hanno deciso questo sciopero, una novità considerando che non ne facevano dal 2020, quando avevano in ballo il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Uno sciopero “di avvertimento”, così lo hanno definito, per chiarire che non si fermeranno facilmente, che questa non è una fiammata, ma la presa d’atto di una situazione della categoria molto negativa, contro la quale vogliono avviare una battaglia che loro, i sindacati che la categoria rappresentano, non hanno alcuna intenzione di perdere.
È stata la Federmeccanica, l’associazione degli industriali del settore, la prima a denunciare queste difficoltà crescenti nella sua ultima indagine congiunturale. Si moltiplicano i comparti in sofferenza, l’occupazione cala, le prospettive si tingono di nero. Non è solo la meccanica a patire, tutta la produzione industriale nel nostro paese continua ad accumulare ritardi e previsioni negative. Ma in questo comparto ci sono settori che davvero richiedono interventi urgenti. Certamente l’acciaio, con l’Ilva che produce meno della metà di quanto potrebbe, e l’automotive che annaspa con la prospettiva della fine dei motori endotermici. Se a Taranto si paventa la perdita di 20mila posti di lavoro, nel settore dell’auto sono 70mila i lavoratori che rischiano a restare senza occupazione per gli effetti della transizione verso l’elettrico. E gli elettrodomestici denunciano problemi non meno gravi.
Su quest’onda i sindacati dei metalmeccanici hanno deciso di darsi da fare. Hanno messo da parte le divisioni che anche loro avevano, e hanno intrapreso un confronto pressante con il governo. Con Adolfo Urso, il ministro del made in Italy, hanno trovato ascolto. In una lunga riunione al ministero hanno affrontato i diversi capitoli aperti e hanno ascoltato con attenzione le proposte del ministro, che intende procedere velocemente cercando accordi per la siderurgia con Mittal, l’azienda privata che cogestisce l’Ilva, per l’auto con Stellantis, che ha la totalità della produzione italiana. Una situazione, quest’ultima, che potrebbe anche cambiare perché, a detta del ministro, c’è in Italia posto per due, tre, forse anche quattro aziende automobilistiche, soprattutto nell’elettrico. Una prospettiva non campata in aria considerando che il nostro paese è sempre stato all’avanguardia nella produzione di auto, specie nella componentistica.
I sindacati dei meccanici hanno giudicato positivamente le proposte del ministro, ma vorrebbero qualcosa in più, un’attenzione più allargata, un quadro di politica industriale che vada al di là del contingente, che punti a una ripresa generalizzata della produzione. Per questo l’impegno è di affrontare questi problemi in un’ottica più ampia, con una strategia di politica industriale a tratto generale che manca da decenni nel nostro paese. L’unica azione importante è stata quella di Industry 4.0, sulla quale però il governo in pratica ha passato la mano. Finora, al di là dei discorsi più tecnici di Urso, il governo non è andato. A parole l’esecutivo è deciso a muoversi con forza, ma al momento sembra attento a riforme che appaiono più ideologiche che concrete. Nel vivo si entrerà solo in autunno, con la discussione della legge di bilancio che indicherà le vere intenzioni, soprattutto in materia di welfare, che resta sempre il nodo al quale sono più attenti i cittadini, perché un intervento sbagliato può significare una perdita reale. E infatti è per l’autunno che si prevede un’impennata della protesta operaia.
I sindacati dei metalmeccanici però non intendono attendere troppo. Per ora hanno proclamato questo sciopero di avvertimento, se la situazione non dovesse migliorare sono pronti ad andare avanti. Del resto, sono galvanizzati dal sostanzioso incremento che hanno portato nelle buste paga dei lavoratori con la scelta salariale compiuta al momento del rinnovo del contratto. Nessuno all’inizio del 2021 pensava che l’inflazione si innalzasse con tanta forza, ma la scelta della verifica a posteriori della crescita dei prezzi è stata determinante e nei portafogli dei lavoratori arriverà un aumento importante. Merito della fiducia data al sistema dell’Ipca, che pure i sindacati hanno sempre giudicato negativamente.
Massimo Mascini