Se rilette con attenzione, le Considerazioni finali, svolte ieri dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, si presentano come un discorso dotato di una duplice funzione.
In primo luogo, esse hanno assolto, al meglio, alla loro funzione tradizionale. Seguendo una prassi inaugurata da Guido Carli negli anni Sessanta del secolo scorso, le Considerazioni finali si sono venute affermando come lo strumento attraverso il quale il Governatore in carica coglie l’occasione della pubblicazione della Relazione annuale della Banca centrale da lui guidata, per trasmetterne in sintesi alcuni dei contenuti più rilevanti e, allo stesso tempo, per lanciare qualche messaggio all’opinione pubblica e a chi detenga i pubblici poteri.
In questo caso, a questa funzione, tipica delle Considerazioni finali, se ne è aggiunta un’altra, del tutto particolare. Lo stesso Visco, infatti, in conclusione del suo intervento, ha ricordato che si accinge a lasciare, entro quest’anno, l’istituzione che ha servito, con ruoli diversi, “per un cinquantennio”. Ci pare quindi di poter dire che il Governatore, che è in carica dal novembre 2011, abbia voluto fare di queste sue ultime Considerazioni anche l’occasione in cui non solo riassumere, come ha fatto in esplicito, le travagliate vicende economiche vissute dal nostro Paese “nell’ultimo quindicennio”, e cioè a partire “dalla crisi finanziaria globale” del 2008, ma anche riproporre alcuni dei temi che sono stati al centro delle sue riflessioni negli anni più recenti.
Su questo torneremo dopo. Ma partiamo adesso dalle pagine delle Considerazioni finali dedicate allo stato della nostra economia e alle prospettive che si aprono davanti ad essa.
“A fronte degli shock di intensità inusitata degli ultimi anni, l’economia italiana ha mostrato una notevole capacità di resistenza e reazione”, ha affermato il Governatore. Che si è tenuto quindi nettamente lontano da una certa tendenza nazionale all’autocommiserazione. E, infatti, ha proseguito ricordando che “già alla fine del 2021, il prodotto aveva recuperato il crollo registrato nei trimestri successivi allo scoppio della pandemia.” Prodotto che “ha continuato poi a espandersi lo scorso anno, nonostante le difficoltà poste dalla guerra in Ucraina, con un incremento del 3,7 per cento, ben superiore alle attese.”
“Anche il mercato del lavoro – ha aggiunto Visco – ha pienamente riassorbito il forte calo dell’occupazione che aveva riguardato, soprattutto, i giovani e le donne.” Tanto che, nel primo trimestre di quest’anno, “la crescita dell’economia ha di nuovo superato le attese”. Ne segue che “per il 2023 le previsioni oggi disponibili convergono su un aumento del prodotto” che dovrebbe collocarsi “intorno all’uno per cento”. Che, aggiungiamo noi, di questi tempi non è poco.
Per Visco, a spiegare questi risultati, e a motivare queste attese, stanno alcune tendenze di fondo. Infatti, “la rinnovata vitalità del sistema economico si è manifestata nella robusta espansione delle esportazioni e nella forte ripresa dell’accumulazione di capitale”. Per ciò che riguarda le prime, Visco nota che “dal quarto trimestre del 2019 le vendite all’estero di beni sono aumentate in volume dell’11 per cento”, ovvero “più che negli altri grandi Paesi dell’area dell’euro”. Per ciò che riguarda la seconda, il Governatore ha affermato che “nell’ultimo biennio gli investimenti sono cresciuti di oltre il 20 per cento, segnando una netta cesura rispetto alla protratta fase di debolezza seguita alla crisi finanziaria globale”.
“Questi andamenti, pur favoriti da generose politiche pubbliche, riflettono il maturare di graduali progressi”, scrive ancora Visco. Il quale sottolinea che “la ristrutturazione del tessuto produttivo ha permesso alle imprese di affrontare la crisi pandemica e lo shock energetico con un assetto finanziario più solido ed equilibrato che nei precedenti, gravi, periodi di crisi”.
Ma tutto ciò non significa che le difficoltà tipiche del nostro sistema produttivo possano essere considerate come superate. Al contrario. Ieri il Governatore ha infatti richiamato l’attenzione dei suoi ascoltatori sulle “debolezze” che “ancora affliggono la nostra economia”. Debolezze che “negli ultimi decenni, si sono riflesse in un progressivo arretramento del reddito pro capite rispetto agli altri Paesi avanzati”. Debolezze fra cui spicca il “protratto ristagno della produttività del lavoro”. Ristagno cui hanno “contribuito sia la bassa efficienza dei processi produttivi sia, nella fase successiva alla crisi finanziaria globale, la debolezza nell’accumulazione di capitale”.
Da tutto ciò, due conseguenze, entrambe evidentemente negative. Da un lato, “negli ultimi venticinque anni il prodotto per ora lavorata è cresciuto, appena, dello 0,3 per cento all’anno”, cioè, “meno di un terzo della media degli altri Paesi dell’area dell’euro”. Dall’altro, la crescita delle retribuzioni orarie, al netto dell’inflazione, “è stata tra le più deboli in Europa”.
Da tutto ciò Visco ricava la convinzione che “le prospettive di sviluppo” della nostra economia dipenderanno “in larga misura dalla capacità di tornare a ritmi di crescita della produttività del lavoro nettamente superiori a quelli degli ultimi venticinque anni e almeno pari a quelli medi osservati negli altri Paesi dell’area dell’euro”. “Dal 2015 – ha specificato Visco – si sono fatti chiari progressi: nonostante il contributo nullo dell’accumulazione di capitale, il prodotto per ora lavorata nel settore privato è cresciuto a ritmi non lontani dalla media dell’area. Il proseguimento di questa tendenza richiede che le imprese confermino la ripresa recente degli investimenti e sostengano l’innovazione.”
Abbiamo così visto tornare, nell’intervento di ieri, alcuni dei temi che hanno caratterizzato, negli anni scorsi, le riflessioni di Visco in quanto Governatore, dalla sottocapitalizzazione delle imprese alla loro bassa produttività per ora lavorata. Temi cui si è più volte aggiunta la denuncia del fatto che la “distribuzione dimensionale delle imprese resta sbilanciata verso quelle piccole e piccolissime, a proprietà e gestione familiare”. Uno dei “tratti peculiari”, questo, che “continuano a condizionare lo sviluppo” della nostra economia. Tratti peculiari fra cui spiccano “l’evasione fiscale e la diffusione del lavoro sommerso”.
Il problema dei problemi resta però quello del debito pubblico. Secondo Visco, “ridurre la dimensione del debito pubblico è una priorità della politica economica, indipendentemente dalle regole europee”. Infatti, “un alto debito impone che una quota elevata delle entrate pubbliche sia destinata al pagamento di interessi invece che a impieghi produttivi; pone seri problemi di equità tra le generazioni; rende più difficile l’adozione di misure anticicliche; genera incertezza per gli operatori economici”. Inoltre, “la necessità di rifinanziarlo ogni anno per importi ingenti rende il Paese vulnerabile alle dinamiche avverse dei mercati, anche quando queste ultime non appaiano giustificate dalle condizioni economiche e finanziarie di fondo”.
Ed ecco che qui Visco passa dall’analisi alla proposta: “dato il fisiologico, graduale aumento dell’onere per interessi (…) è necessario un ritorno a significativi avanzi primari, come quelli programmati per il medio termine nell’ultimo Documento di economia e finanza”. Dal Governatore arriva quindi qui un plauso a un aspetto della politica economica delineata dall’attuale Governo. Salvo poi ad aggiungere che “nei prossimi anni ogni eventuale aumento di spesa o riduzione di entrata, anche nell’ambito di riforme già annunciate quali quelle del fisco o dell’autonomia differenziata, non potrà prescindere dall’identificazione di coperture strutturali adeguate e certe”.
Nell’analisi di Visco, a questi problemi di più lungo periodo del nostro sistema economico si è aggiunto, più di recente, quello demografico. Problema che spinge il Governatore a esprimersi anche sul tema dell’immigrazione. “Anche nell’ipotesi molto favorevole di un progressivo innalzamento dei tassi di attività dei giovani e delle donne fino ai valori medi dell’Unione europea, nei prossimi venti anni – afferma Visco – la crescita economica non potrà contare su un aumento endogeno delle forze di lavoro: gli effetti del calo della popolazione nelle età centrali potranno essere mitigati nel medio periodo, oltre che da un allungamento dell’età lavorativa, solo da un aumento del saldo migratorio.”
Infine, uno sguardo a uno dei problemi specifici del lavoro. “Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un’occupazione regolare o, pur avendola, non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate.” Un’osservazione, questa, da cui Visco ricava che “come negli altri principali Paesi, l’introduzione di un salario minimo, definito con il necessario equilibrio, può rispondere a non trascurabili esigenze di giustizia sociale”.
Per il resto, nelle Considerazioni svolte ieri è possibile ritrovare i principali aspetti del modo di pensare in base a cui Visco ha seguito, di anno in anno, l’evoluzione delle vicende economiche attraversate dal nostro Paese. Innanzitutto, uno sguardo sempre aperto, prioritariamente, sullo scenario internazionale. Una visione positiva, ma non fideistica, dei processi di globalizzazione. Poi, un convinto europeismo (ieri, fra l’altro, Visco ha sottolineato il “ruolo importante” che potrà essere svolto dal Mes). Poi, ancora, un atteggiamento propositivo, tipico di chi, pur vedendo lucidamente i molti e gravi problemi che lo fronteggiano, si propone di cominciare a risolverne almeno qualcuno e, quindi non si lascia sopraffare dal pessimismo. Quello che, in un recente passato, ci siamo permessi di definire come il suo ottimismo programmatico.
Infine, il pensiero non dogmatico di un economista che, in questi anni difficili, non ha mai nascosto la difficoltà della sua disciplina a formulare previsioni certe. Tanto che, anche ieri, la parola incertezza si è affacciata più volte nei suoi ragionamenti. Ragionamenti tra cui, da un lato, è comparsa la rivendicazione di quanto possa essere importante il riconoscimento del “sapere di non sapere”. Mentre, dall’altro, è stato sottolineato quanto possa esser cruciale, nel complesso mondo di oggi, la “capacità di immaginare il futuro”.
Fernando Liuzzi