Nicola Lagioia, accusato con brutalità di non aver impedito al salone del libro, da lui diretto, le contestazioni alla ministra Roccella, nega ogni collocazione nell’attuale geografia politica. Lei è un uomo di partito?, gli chiede un giornalista di Repubblica. “Sì, di un partito che non esiste più da settant’anni, il Partito d’Azione”, risponde lapidario.
Mario Tronti dall’estremismo operaista sembra essersi convertito sulla via di Gaetano Salvemini e Filippo La Porta, nel commentare questa novità, rilancia: Elly Schlein, “leader di un partito orfano di ogni tradizione” dovrebbe proprio guardare al filone giellista “soprattutto per la necessità di dare alla politica un fondamento etico”. Alessandro Giuli, nominato direttore del Maxxi da questo governo, osserva che “anche a destra non esiste più un pantheon di riferimento”, invita ad un “allargamento di orizzonti” e arriva a dire: “Bisognerebbe per esempio recuperare il meglio della tradizione azionista”.
Anche Carlo Calenda, già nel nome della sua formazione, tenta di fare una scelta di campo senza però avere le idee ben chiare sulla radicalità di un programma che non è blandamente riformista ma propugna una rivoluzione democratica.
Carlo Rosselli fu ucciso con due colpi di pistola e il fratello Nello venne trafitto da 17 pugnalate in un bosco vicino a Bagnoles de l’Orne, in Normandia. Era il 9 giugno del 1937. L’anniversario del duplice assassinio, perpetrato dai sicari della Cagoule su mandato del regime fascista, mai come questa volta assume i connotati dell’attualità. I loro fantasmi sono tra noi. Esemplari, benevoli, ammonitori. Evocati, a torto o a ragione, da questo gran parlare di Giustizia e Libertà e del successivo Partito d’Azione.
La confusione è grande, almeno quanto il vuoto ideale che si vorrebbe riempire. Il partito che non c’è diventa come l’isola di Peter Pan. Seconda stella a destra, e poi dritti fino al mattino, per trovare il socialismo e la libertà. Sempre guardandosi le spalle da Capitano Uncino in camicia nera.
Ha scritto Carlo: “E’ il liberalismo che si fa socialista, o è il socialismo che si fa liberale? Le due cose assieme. Sono due visioni altissime ma unilaterali della vita che tendono a compenetrarsi e a completarsi. Il razionalismo greco e il messianismo d’Israele. L’uno domina l’amore per la libertà, il rispetto delle autonomie, una concezione armoniosa e distaccata dalla vita. L’altro una giustizia tutta terrena, il mito dell’uguaglianza, un tormento spirituale che vieta ogni indulgenza”.
Socialismo liberale. Eccolo, l’ircocervo di cui parlava con totale scetticismo Benedetto Croce. La fine del PdA, diviso tra l’anima repubblicana di Ugo La Malfa e quella socialista di Emilio Lussu, dimostra quanto fosse difficile, se non impossibile, dare coerenza logica ad un ossimoro.
Eppure, l’immaginifico richiamo di Lagioia e le continue citazioni fanno pensare che l’eredità rosselliana sia intatta e ambita.
Lo scioglimento del PdA fu sancito dal consiglio nazionale il 20 ottobre 1947. Ricorda Paolo Vittorelli in “L’Età della speranza”: “Tutt’a un tratto, dal fondo della sala dove si era rifugiato, Piero Calamandrei si levò in piedi per far sentire la sua voce. In sala cadde il silenzio. In quel momento ci parve più alto del solito, come illuminato dalle luci dei riflettori, quasi si trattasse del personaggio principale di una grande tragedia greca sullo sfondo dell’anfiteatro. Viva il Partito d’Azione!, gridò con voce vibrante, con il tono che dovevano avere i profeti quando denunciavano la scarsa fede nel Signore del loro popolo”.
Quel grido, con tutta evidenza, riecheggia ancora.
Marco Cianca