A che punto sono le relazioni tra il Pd di Elly Schlein e il mondo sindacale? La domanda si impone, all’indomani della partecipazione della nuova segretaria alla prima delle tre manifestazioni interregionali che Cgil, Cisl e Uil hanno programmato per il mese di maggio. Ecco quindi che sabato 6, a Bologna, sorrisi, abbracci, selfie, ma anche un piccolo incidente, hanno accompagnato la prima presenza di Schlein, in quanto massima dirigente del Pd, a un’iniziativa sindacale unitaria. Ce n’è abbastanza per stimolare qualche riflessione.
Cominciamo, dunque, partendo, se non proprio da lontano, almeno andando un po’ indietro nel tempo. Come è noto, nel 2015 Schlein lasciò il Pd, dove era entrata da poco, perché in dissenso rispetto alla segreteria di Matteo Renzi. Ora, quando si pensa al rapporto fra Renzi e le questioni del lavoro, la prima cosa che viene in mente è il famoso/famigerato Jobs Act.
Come è altrettanto noto, negli 8 decreti legislativi che, nel corso del 2015 (più un nono del 2016), tradussero in norme concrete le linee guida della legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, c’erano tante cose. Ma ciò che è rimasto impresso nella memoria collettiva è stata la nuova disciplina in materia di licenziamenti individuali e collettivi.
Prima, però, di impelagarsi nel pluriennale dibattito sulla revisione di alcuni aspetti, certo molto significativi, dello Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n 300), Renzi aveva fatto un’altra scelta che, oggi, sembra quasi dimenticata: quella della cosiddetta disintermediazione. In pratica, il suo tentativo fu quello di saltare la mediazione dei cosiddetti corpi intermedi, ovvero dei sindacati dei lavoratori e delle associazioni imprenditoriali, puntando a stabilire un rapporto diretto del Governo, e del suo leader, con lavoratori e imprese. Arricchendo le buste paga dei primi per mezzo di sgravi fiscali a tale scopo concepiti (i famosi “80 euro”), e offrendo alle seconde mani più libere in materia di licenziamenti.
Risultato: Renzi conquistò l’ostilità, o quanto meno la diffidenza, delle organizzazioni sindacali e datoriali, senza conquistare il consenso di lavoratori e imprenditori. Un fallimento maturato in fretta, temporaneamente nascosto dalla clamorosa vittoria del Pd alle Europee, ma che fu reso esplicito dalla sconfitta patita nel referendum costituzionale del dicembre 2016.
Adesso Elly Schlein si propone esplicitamente di tornare a stabilire un rapporto positivo col mondo del lavoro. E cita gli errori fatti in passato dal Pd, lasciando che i più pensino al Jobs Act. Ma il fatto è che lei non è la prima segretaria del dopo Renzi. In questo “dopo”, prima di lei ci sono già stati Maurizio Martina, Nicola Zingaretti ed Enrico Letta. Il secondo dei quali, in particolare, è stato eletto nel 2019 su una piattaforma che si collocava esplicitamente più a sinistra di ciò che aveva fatto Matteo Renzi col suo Governo.
Non è dunque chiarissimo cosa intenda fare adesso Elly Schlein, dall’opposizione, per recuperare il rapporto che era venuto meno nel biennio in cui Renzi ha guidato il Governo. Come è stato già osservato sul Diario, un aiuto involontario potrebbe venire a Schlein dall’attuale capo del Governo, Giorgia Meloni. La quale, infatti, sembra aver imboccato una strada che, per certi aspetti, ricorda quella tracciata da Renzi, ma in termini aggravati.
Da un lato, Meloni si è intestata un nuovo provvedimento di natura fiscale in favore delle buste paga, ma fatto con molti meno soldi e con modalità più goffe di quelle di Renzi: annunci roboanti hanno accompagnato un decreto che, in realtà, avrà effetti concreti, oltre che modesti, solo per pochi mesi (fino a dicembre). Poi si vedrà. Dall’altro lato, ha tenuto modalità di rapporto con i sindacati che stanno fra la presa in giro e la provocazione verbale. Con un incontro brevissimo nella serata del 30 aprile, e cioè alla vigilia della successiva riunione del Consiglio dei Ministri, e dunque meramente informativo. Condito poi da una dichiarazione in cui, in riferimento alle tre grandi Confederazioni sindacali – Cgil, Cisl, Uil -, la stessa Meloni ha rispolverato il termine “la Triplice”. Ovvero un termine caro ai polemisti antisindacali.
In questa fase, il compito che le tre suddette Confederazioni si sono assegnate è dunque particolarmente impegnativo. Portare avanti, unitariamente, le loro rivendicazioni relative alle materie in cui la promozione degli interessi dei lavoratori dipendenti impatta sul terreno politico-legislativo: fisco, regolazione del mercato del lavoro e welfare, a partire dalle questioni previdenziali. Prima ancora, però, le stesse confederazioni devono, come si diceva un tempo, “conquistare il tavolo”, ovvero convincere l’attuale Governo ad aprire, se non proprio una trattativa, almeno, per l’intanto, un confronto degno di questo nome.
In questa situazione cosa potrebbe/dovrebbe dunque fare il Pd, ovvero il maggior partito dell’opposizione? In primo luogo, dotarsi di una sua piattaforma di politica economica da cui ricavare delle posizioni motivate anche per ciò che riguarda le materie di interesse sindacale. E ciò per due motivi. Primo, perché, come sottolineava, mezzo secolo fa, Giorgio Amendola, il leader di maggior peso dell’ala “migliorista” del Pci, il tema, e la pratica, dell’autonomia dei sindacati dalle forze politiche porta con sé quello dell’autonomia di tali forze dai sindacati, anche per ciò che riguarda le tematiche del lavoro. E, secondo, perché con ogni probabilità, di fronte ai tanti problemi del presente, i sindacati sono portati ad apprezzare un confronto serio ed esplicito più che consensi manifestati, forse, in modo strumentale.
Dunque, la partecipazione dalla piazza a iniziative sindacali unitarie – come quella che si è svolta sabato scorso a Bologna, e come quelle che avranno luogo, prima a Milano e poi a Napoli, nei due prossimi sabati – può essere utile a lanciare un messaggio di vicinanza alla leadership sindacale, ma non solo. Può essere utile infatti, se ce ne fosse bisogno, anche allo scopo di tornare a indicare ai militanti del Pd un’occasione di incontro con i militanti sindacali.
Per il Pd ci sono però due condizioni da rispettare affinché la sua presenza in simili circostanze sia fruttuosa e non foriera di inutili attriti. In primo luogo, i dirigenti del Pd devono evitare di dare l’impressione di voler mettere il proprio cappello su un’iniziativa sindacale. Perché è almeno dagli anni 70 del Novecento che i sindacati italiani sono ufficialmente gelosi della propria autonomia. In secondo luogo, dirigenti e parlamentari del Pd devono evitare di esibire una loro aprioristica preferenza per questa o quella delle maggiori organizzazioni sindacali. Offrendo, semmai, un consenso esplicito ai loro sforzi unitari.
Da questo punto di vista, non possiamo evitare di notare che, proprio in occasione della manifestazione di Bologna, Elly Schlein è incorsa in una gaffe involontaria. Che però, col passare delle ore, ha assunto le proporzioni dell’incidente politico.
Di cosa stiamo parlando? Quando era vice-presidente della Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, Elly Schlein portò la sua solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori della Saga Coffee, un’impresa metalmeccanica, produttrice di macchine per il caffè, sita a Gaggio Montano, piccolo comune dell’Appennino bolognese. Lavoratrici e lavoratori che furono protagonisti di una dura lotta aziendale iniziata, alla fine del 2021, per contrastare la volontà della proprietà di chiudere il sito produttivo. La vertenza si concluse poi positivamente, nei primi mesi del 2022, grazie anche all’intervento dell’Assessorato all’Industria della Regione, guidato da Vincenzo Colla, con il salvataggio di 137 posti di lavoro su 220.
Ebbene, in tali circostanze, a Schlein fu donata una delle magliette realizzate su iniziativa della Fiom-Cgil per pubblicizzare la lotta. Sul davanti della maglietta campeggiava la scritta: “La lotta paga sempre”. Sul dietro, in alto, e più in piccolo, il simbolo della Fiom, il sindacato dei metalmeccanici Cgil.
Orbene, Elly Schlein si è presentata in piazza, a Bologna, indossando questa maglietta. Una scelta di abbigliamento con cui la neo-segretaria pensava forse di mostrarsi riconoscente alle lavoratrici della Saga Coffee e vicina ai manifestanti. D’altra parte, possiamo anche ricordarci del fatto che Schlein ha partecipato come volontaria per ben due volte, nel 2008 e nel 2012, alle campagne elettorali di Barack Obama, trasferendosi temporaneamente, in entrambi i casi, a Chicago, capitale dell’Illinois. Avrà quindi forse pensato che il suo gesto equivalesse a quello di un parlamentare del Partito democratico statunitense che, partecipando a un’iniziativa organizzata dalla confederazione sindacale AFL-CIO in un distretto industriale del Midwest, indossasse una maglietta della United Auto Workers, il sindacato dei lavoratori dell’auto.
Ma da noi non è così. In paesi sindacalmente più semplici, come Stati Uniti e Germania, una maglietta del sindacato metalmeccanici è solo un capo d’abbigliamento che rinvia alla maggiore categoria di lavoratori dell’industria. Categoria organizzata, comunque, da un sindacato appartenente all’unica confederazione esistente (AFL-CIO nel primo caso, DGB nel secondo). In paesi sindacalmente più complessi, come Italia e Francia, esistono invece diverse confederazioni, ognuna delle quali ha il suo sindacato dei metalmeccanici o di qualsiasi altra categoria. Bisogna tenerne conto.
Questa volta, Schlein non ne ha tenuto conto. Sbagliando, perché i simboli sono segni ad alto contenuto emotivo. Sia in senso positivo che negativo. Risultato: sia secondo il Corriere della Sera che secondo la Repubblica di domenica, dalle zone della piazza presidiate dai militanti Uil sono partite alcune manifestazioni di fastidio per una presenza “politica” non gradita. Mentre il Segretario generale della Fim-Cisl, Roberto Benaglia, si è sentito in dovere di indirizzare a caldo, alla “Carissima Elly Schlein”, un tweet in cui ha affermato che “tutti i leader del centrosinistra si sono sempre schierati con i #metalmeccanici uniti e non tra i metalmeccanici”. Aggiungendo poi che “50 anni di lotte hanno insegnato ai metalmeccanici una cosa fondamentale: l’autonomia del sindacato dalla politica paga sempre!”.
Concludendo: l’episodio della maglietta Fiom, indossata da una leader di partito alla manifestazione sindacale unitaria di Bologna, non è grave in sé e non va certo drammatizzato, come, prevedibilmente, hanno fatto testate giornalistiche di destra. Tuttavia, Schlein sbaglierebbe a non tenerne conto in futuro. Perché non ha solo frenato, per il suo partito, l’impatto politico positivo di un riavvicinamento annunciato al mondo sindacale, ma, soprattutto, ha creato una non desiderata occasione di frizione fra le confederazioni sindacali. E ciò in un momento in cui, di fronte all’aggressività del Governo Meloni, esibita in un crescendo di dichiarazioni dal 25 Aprile al Primo Maggio, l’unità sindacale appare sempre più preziosa. Troppi sono i problemi che travagliano oggi il mondo del lavoro perché Cgil, Cisl e Uil possano permettersi di rinunciare, in cambio di nulla, anche a una sola oncia di unità.
@Fernando_Liuzzi