Norman Douglas, celebre autore britannico, nel 1917 scriveva : «Si possono conoscere gli ideali di una nazione attraverso la sua pubblicità». Non si voglia far torto a nessuno, ma lo scenario socio-politico cui stiamo collettivamente partecipando assomiglia molto a una mastodontica campagna pubblicitaria che, a giorni alterni, ci inflaziona di payoff – tecnicismo del marketing che indica frase breve associata al logo di un’azienda evocativi di scenari e soluzioni, che vogliono per l’appunto venderci un ideale, una soluzione migliorativa, una semplificazione del caos in cui siamo immersi fino al collo. Se assumiamo, quindi, che la politica, dalle campagne elettorali all’esecutivo, surfa proprio sulla vendite di promesse che possiamo assimilare ai predetti payoff, proviamo a scandagliare gli ideali della nostra Nazione attraverso l’analisi di un fatto in evidenza e vediamo se si può dare atto di ragione a Norman Douglas. Una premessa: sarebbe troppo facile scegliere la campagna promozionale “Open to Meraviglia” del Ministero del Turismo presieduto da Daniela Santanché, nonché poco costruttivo, perché su questa ridicola operazione da 9milioni di euro è stato già detto tutto e dedicarvici altro spazio significherebbe renderla legittima.
Prendiamo quindi il caso del piano natalità proposto dal ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti. La frase breve: «Zero tasse a chi fa più figli». Il logo: quello della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il concept: la lungimirante proposta ministro Giorgetti è stata concepita per mettere una toppa all’emorragia demografica che sta colpendo il nostro Paese: nel 2022, infatti, si registrano “solo” 392mila nascite, segnando così un minimo storico, ed è per questo, dice il ministro, «che dobbiamo immaginare un’azione shock». Nei fatti, il piano prevede una detrazione Irpef per le coppie che mettono al mondo due o più figli: più nel dettaglio, per i primi due figli il taglio dell’aliquota di uno dei due genitori (di preferenza la mamma, anche come incentivo all’occupazione femminile) oscillerebbe tra il 50 e il 60%, mentre dal terzo figlio in poi ci sarebbe la cancellazione totale della tassazione. Ad alimentare gli entusiasmi di questo proclama, perché de facto per ora resta tale, interviene prima il sottosegretario leghista al ministero delle Imprese e del Made in Italy, Massimo Bitonci: «Per incentivare la natalità diventa necessario ridurre la tassazione per le famiglie con uno o più figli a carico. Questo non significa abbandonare l’assegno unico ma, oltre a questo, si dovrebbe reintrodurre una detrazione di 10.000 euro all’anno per ogni figlio a carico fino al termine degli studi anche universitari, per tutti i nuclei senza limite di reddito»; poi il presidente della commissione Finanze del Senato, Massimo Garavaglia: «Ridurre le tasse a chi fa più figli è la scelta migliore per tutelare la natalità e le famiglie». Un progetto molto ambizioso, fatto di principi di massima che molto probabilmente crolleranno davanti al furore delle regole fiscali e che comunque contrasta non di poco con il piano della premier, Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio, infatti, serbava da tempo l’annuncio di un piano di contrasto alla denatalità italiana, ma è stata bruciata sul tempo dall’indiscrezione apparsa su Il Foglio che ha raccolto e analizzato il progetto di Giorgetti rovinandole la festa. Tuttavia, il piano di Meloni si discosta non poco da quanto annunciato dal suo ministro, poiché il modello su cui avrebbe puntato a lavorare è quello del quoziente familiare, concentrandosi quindi sulla riduzione dell’imposta sui redditi di entrambi i genitori in base al numero dei componenti familiari e non sul patrimonio o sulla casa. A suffragio di questa tesi, Meloni avrebbe poi puntato alla cancellazione dell’assegno unico familiare, la vigente misura che destina alle famiglie con figli una assegno mensile erogato dall’Inps. Secondo i dati resi noti dall’Istituto di previdenza sociale, a marzo 2023 la platea dei percettori dell’assegno unico ha raggiunto circa 6milioni di nuclei familiari, per una spesa totale pari a 16,5miliardi di euro. A febbraio, continua l’Inps, l’importo medio mensile dell’assegno è stato di 260euro e a beneficiarne sono state principalmente le famiglie del Sud, dove le condizioni economiche delle famiglie sono nettamente peggiori rispetto al resto d’Italia. Dal governo, inoltre, ci sarebbe la volontà di migliorare il format dell’assegno unico, ritenuto uno strumento essenziale di sostegno alle famiglie e parte di una strategia più ampia che riguarda anche il piano fiscale e la conciliazione tra famiglia e lavoro, come spiega la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella. Sulla stessa linea anche il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che sottolinea l’importanza di «pensare a strumenti combinati: detassazione, assegno unico, servizi. I dati ci mostrano che dove i tassi di natalità sono alti, anche l’occupazione femminile è alta. Dobbiamo combinare politiche di fiscalità, servizi e sostegno al reddito. L’assegno univo universale è tra le misure assistenziali più importanti».
Per tornare al Piano Giorgetti, ci sarebbe il nodo delle risorse, ma il vice ministro al Mef, Maurizio Leo, rassicura che potranno essere individuate nella Nota di aggiornamento al Def di fine settembre 2023 e impiegate nella prossima legge di bilancio: «Vediamo nella Nadef quante risorse riusciremo a trovare per il sostegno alla natalità». Intervistato dal Corriere della Sera, Bitonci aggiunge: «Logico che il tema siano le coperture, ma […] attraverso un riordino della tax expenditure si potrebbe trovare una buona parte delle coperture per finanziare una misura di contrasto al calo delle nascite. E poi potrebbero essere individuate risorse in altro modo», come dalla già citata Nadef e dal riordino dei bonus settoriali erogati durante la pandemia e l’emergenza energetica.
Insomma, il piano natalità somiglia al superbonus 100%, che consiste in una detrazione del 110% delle spese sostenute per la realizzazione di interventi finalizzati all’efficientamento energetico e al consolidamento statico degli edifici; ma anche un po’ al bonus facciate, l’agevolazione fiscale che consiste in una detrazione d’imposta del dal 60 al 90% delle spese sostenute per interventi finalizzati al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici esistenti. Se due o più equazioni si dicono equivalenti quando ammettono le stesse soluzioni, viene naturale instaurare questa relazione solo apparentemente artificiosa e pensare di poter ribattezzare il piano di natalità come “superbonus di ristrutturazione delle famiglie per il recupero e l’efficientamento della natalità italiana”.
In buona sostanza, però, risorse o non risorse, Irpef o quoziente familiare, il problema resta e il problema sono le donne. O meglio, alcune donne, perché la forbice sociale si sovrappone alla forbice salariale che a sua volta coincide con la forbice di reddito – come ha già inteso Tridico (i tassi di natalità sono alti dove l’occupazione femminile è alta) . Eppure la questione femminile sembra stare a cuore a tutti. Come già detto, la premier Meloni avrebbe voluto far proprio l’annuncio di un piano natalità ma si è dovuta accontentare della comparsata al Salone del Mobile di Milano per una disamina sul trinomio lavoro-migranti-donne, combinando i tre elementi scottanti in un’uscita leggermente discutibile (nel senso che ha dato il via all’ennesimo campo di discussione a colpi di punti esclamativi): «È oggettivo che in Italia abbiamo un problema nel nostro sistema economico e sociale che deriva dal fatto che per troppi anni non abbiamo investito sulla natalità e sulla demografia. Di fatto noi abbiamo sempre più persone da mantenere e sempre meno persone che lavorano». E rispondendo ad una domanda sull’osservazione fatta nel Def per cui i migranti aiutano il Pil: «Questo problema si risolve in vari modi e il modo in cui lavora il governo non è risolverlo con i migranti: è risolverlo con quella grande riserva inutilizzata che è il lavoro femminile perché alzando il livello del lavoro femminile e portandolo alla media europea i nostri dati cambierebbero molto, e lavorando sulla demografia e quindi sull’incentivazione della possibilità delle famiglie di mettere al mondo figli. Questo è quello per cui il governo lavora». L’analisi sul senso intrinseco di queste parole è stata già ben condotta in tutte le salse, ma di fondo resta muta la domanda più scontata: quando cominceremo a occuparci delle donne come individualità e non solo come sostantivi di polemica politica? Quando cominceremo a occuparci delle donne nella loro complessità e non più solo come viatico di servizio della Patria per fare bella figura in Europa?
Il sociologo fascista Ferdinando Loffredo così affrescava il ritratto della donna che lavora nel suo volume Politica della Famiglia (1938): «La donna che lavora si avvia alla sterilità; perde la fiducia nell’uomo; concorre sempre di più ad elevare il tenore di vita delle varie classi sociali; considera la maternità come un impedimento, un ostacolo, una catena». Non si allude minimamente al fatto che il governo lavori su questo solco, ma Loffredo aggiungeva qualcosa di molto attuale: «Ogni speranza dell’avvenire è nella casa; la casa vivaio delle generazioni future, dove si prepara nell’ombra, nel segreto della minuta opera quotidiana ogni fulgore di grandezza futura. La casa, la donna, la famiglia […]. Grazie all’opera del Governo Nazionale l’ora volge energicamente propizia […] l’opera per la riconsacrazione della famiglia». Oggi è impossibile, almeno in questa parte di mondo, costringere una donna alla clausura della casa e consacrarla ad angelo del focolare, al lavoro di cura di figli e marito dimenticando la vita che scorre; ma in termini meno feroci, di fatto, è così. Si innesca un processo “per forza di cose” se il lavoro per le donne è dequalificato, demansionato e sottopagato, squalificante per il conseguimento della piena realizzazione della persona; se i salari sono da fame, la precarietà galoppa e il gender gap pay si fa più profondo; se i servizi e le politiche familiari sono lacunosi o assenti. L’Italia è penultima dopo la Grecia per il tasso di occupazione femminile (52,1%), dove la media Europea è oltre il 65%; sempre in Italia, poi, solo 6 donne su 100 trovano lavoro dopo la maternità (si ricordi anche l’episodio in cui l’imprenditrice Elisabetta Franchi diceva di assumere solo donne sugli -anta poiché meno vincolate alla vita privata).
Secondo un’indagine del 2022 condotta dalla digital media company Freeda, il 77% delle donne intervistate ritiene che la società ponga le donne a scegliere tra carriera e famiglia; il 64% delle intervistate pensa che avere figli in età giovanile sia un ostacolo alla carriera e a un maggiore guadagno, il 63% che avere figli sia un ostacolo in generale per il proprio sviluppo professionale e il 59% ha paura di comunicare una gravidanza ai propri superiori. Il 42% delle intervistate ha dichiarato di essersi sentita chiedere se avesse intenzione di avere figli durante un colloquio di assunzione. Si resta in trepida attesa del Dl Lavoro sul tavolo del Consiglio dei Ministri proprio il Primo Maggio, giorno della Festa dei Lavoratori.
In buona sostanza, le donne nelle case ce le spingono e quando riescono a venirne fuori è difficile che vogliano rientrarci. Per questo, allora, i figli vanno pagati o comprati: perché la segregazione coatta nell’alveo domestico non potrebbe essere più concepita. Non è “Lo sciopero delle nascite” di cui titolava il New York Times riferendosi alla drammatica denatalità della Corea del Sud, perché tra chi lo desidererebbe c’è tutta la buona volontà di fare figli, solo che non sussistono proprio le condizioni – ancor più se si considera, a titolo di esempio tra i tanti, il fatto che l’offerta italiana degli asili nido pubblici è una delle più basse dell’unione europea e l’obiettivo del Pnrr di realizzare 260mila nuovi posti entro giugno è stata dichiara irrealizzabile.
Dunque, sperando che il piano natalità proposto da Giorgetti venga trasformato in qualcosa di realistico e davvero propositivo, possiamo provare a rispondere alla domanda implicita nell’affermazione di Norman Douglas: si possono conoscere gli ideali di una nazione attraverso la sua pubblicità? Se così fosse, il nostro ideale non sta poi così tanto bene.
Elettra Raffaela Melucci