«Nessuna conquista è per sempre. C’è sempre qualcuno che è interessato a toglierla, per cui resistere non è solo un dovere, ma una necessità dei giovani, altrimenti non si va avanti». Al Presidente del Senato, Ignazio La Russa, potrebbe rispondere così Maria Cervi, figlia maggiore di Antenore e nipote di Gelindo, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore. I sette fratelli Cervi, trucidati dai fascisti per rappresaglia il 28 dicembre 1943 nel poligono di tiro di Reggio Emilia.
Negli ultimi anni si fa un gran parlare di “nuovi fascismi” e “nuovi razzismi”, di attentati alla democrazia e alle libertà costituzionali. Non c’è nulla di nuovo, perché il fascismo di ieri è lo stesso che oggi serpeggia nelle strade e sugli scranni del potere e la fobia dello “xenos” che arriva dal mare è l’ombra lunga di quella che ieri riempiva i campi di concentramento e di sterminio. Quelli a cui stiamo partecipando sono semplicemente – si fa per dire – i “corsi e ricorsi storici” di Gian Battista Vico: stesso pattern, tempi nuovi. Dico partecipando perché nessuno è assolto dalla Storia e dal suo dispiegarsi: tutto questo lo abbiamo costruito insieme, con colpe e responsabilità, meriti e demeriti.
La Storia nasce laddove c’è collettività e, parafrasando De Andrè, «per quanto voi vi crediate assolti/ Siete per sempre coinvolti»: nessuno è assolto dai genocidi, dai naufragi, dalle stragi terroristiche, dalla povertà, dall’impoverimento del pensiero; nessuno è assolto dal nazifascismo, dalle milioni di vittime ebree, comuniste, dissidenti, omosessuali, disabili, slavi, rom. Tutti noi siamo coinvolti nelle parole del Presidente La Russa, che si oppone alla Storia e quindi alla collettività. Si oppone a noi. Oggi basta un post su Twitter o su Facebook, meglio ancora se una foto evocativa con una caption accattivante da lanciare su Instagram, per esprimere la propria indignazione contro il villain del progetto democratico. Ma cosa potremmo pretendere altrimenti da un uomo con questi chiari trascorsi estremisti? Che si riconosca in «questa libertà, speriamo non lo si dimentichi, che fu fondata sul sangue di quella straordinaria generazione» di partigiani che ci hanno liberati dal giogo nazifascista? Chiediamo questo a un estimatore di Mussolini, colui il quale appena ha potuto s’è dato a gambe levate lasciandoci letteralmente in un bagno di sangue? Dobbiamo piuttosto chiederlo all’istituzione “democraticamente” seduta sul secondo scranno più alto della Repubblica e dobbiamo piuttosto chiederci come sia potuto accadere che l’interlocutore divenisse proprio lui. Ancora, siamo coinvolti e nessuno assolto: se è così è perché lo abbiamo voluto noi – non “noi e loro”, ma noi sinergicamente. E allora cosa ci può mai interessare tutta questa indignazione di carta e pixel se le piazze sono vuote, se non si tuona e non si agisce?
Il 25 aprile del 1945 Sandro Pertini diffondeva questo messaggio: «Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire». Il migliore degli auguri per un sempiterno 25 aprile di liberazione e lotta.
Elettra Raffaela Melucci