A meno che qualcuno non se ne sia ancora accorto, da settembre 2022 viviamo in un Paese dove la meritocrazia funziona da volano di crescita e, non appena si paventa un’occasione propizia, ministri, segretari e leader non tardano a ricordarcelo – o a rinfacciarcelo (qualcuno ha addirittura titolato che “Lavoro e merito sono la ricetta economica del centrodestra al governo”). Se però per alcune fasce d’età ormai il danno è fatto e pare irrimediabile, ci si può rifare sui giovani. Dopo il Ministero dell’Istruzione e del Merito e i bonus destinati agli studenti con la media superiore al 9 nell’istituto superiore Scalcerle di Padova, per il comparto dei beni culturali interviene il ministro Gennaro Sangiuliano, che si rivolge ai giovani con un restyling del bonus 18app introducendo la carta del merito e la carta della cultura. «Noi siamo consapevoli che i consumi culturali, soprattutto nelle giovani generazioni, rappresentano un fattore di crescita civile. Noi in Italia interveniamo adottando uno schema all’avanguardia in Europa», ipse dixit dalle pagine de Il Mattino. Obiettivo di entrambi gli strumenti, spiega il ministro, è quello di incentivare la fruizione culturale dei neo-maggiorenni attraverso una sovvenzione di 500 euro, laddove la carta della cultura è destinata ai coloro i quali compiranno 18 anni e che hanno un ISEE uguale o inferiore a 35.000 euro, mentre la carta del merito, di uguale importo, è destinato – appunto – ai giovani meritevoli, che hanno superato l’esame di maturità con il massimo dei voti.
Concentriamoci su quest’ultima misura. Sia chiaro: eccellere non è un delitto e non vanno condannati coloro i quali profondono spassionato impegno in un’attività; anzi, è lodevole e di grande conforto sapere che i giovani siano dediti ad attività costruttive per il futuro della collettività. Tuttavia sia chiaro anche questo: il consumo culturale è un potente strumento e criterio di classificazione e gerarchizzazione sociale. Per cui non sarà forse che incentivare principalmente i meritevoli allarghi ancora di più un già incolmabile gap socio-economico e socio-culturale? Certo non è che si debba buttare il bambino con l’acqua sporca e non sostenere in alcun modo la fruizione dell’offerta culturale, ma si rende necessario guardare il Paese reale – o almeno una qualsiasi infografica – per rendersi conto che l’incentivo dovrebbe essere trasversale alle fasce d’età e di merito.
L’Osservatorio longitudinale sui consumi culturali degli Italiani di Impresa Cultura Italia-Confcommercio, in collaborazione con Swg, ha condotto un’indagine quantitativa su un campione composto da 1009 cittadini italiani tra i 18 e 74 anni rappresentativi della popolazione per genere, età e area geografica. I principali risultati del rapporto rilevano che nel 2022 i consumi culturali sono in generale ripresa, ma ancora sotto al livello pre-pandemico. Diminuiscono i consumatori, ma aumenta la spesa media dei consumatori abituali di prodotti culturali, con un complementare rapporto di rafforzamento del ruolo attrattivo delle iniziative culturali. Sebbene in generale il bilancio di spesa degli italiani sia stato influenzato dai pesanti effetti dell’inflazione e le priorità di allocazione delle risorse totalmente sbilanciato, a subire i tagli più pesanti sono proprio i consumi culturali: «Il 14% del campione – si legge nel rapporto – afferma di non spendere denaro, mentre, tra chi spende denaro, il 39% dichiara di avere ridotto la spesa, a fronte di un 17% che l’ha aumentata o in virtù del rialzo dei prezzi o per una specifica scelta di aumento di questo tipo di consumi. Rispetto allo scorso anno è in calo la proiezione dei consumi futuri, con l’eccezione di riviste, quotidiani e concerti. La scelta di ridurre le spese in consumi culturali non è però uniforme all’interno della popolazione, ma colpisce maggiormente le classi sociali con un capitale economico e culturale più basso che avevano già livelli di spesa più modesti. Circa il 10% degli intervistati mostra un incremento netto dei consumi rispetto al passato. Ne deriva quindi un effetto di generalizzata riduzione del numero di consumatori a fronte di un aumento della spesa media, sia per fattori inflattivi (per cui si spende di più per acquistare lo stesso bene/servizio rispetto al passato), che per un effettivo incremento dei consumi della quota di popolazione interessata a questo tipo di beni».
In sintesi, è il presidente di Impresa Cultura Italia, Carlo Fontana, a chiarire il nocciolo della questione: «Emerge una divaricazione sociale, si spende di più in cultura se si ha maggiore disponibilità economica». Su questo, lapalissianamente, conveniamo un po’ tutti. «Questo fenomeno necessita di correttivi che devono necessariamente andare in due direzioni: una grande azione di formazione, in particolare delle giovani generazioni, che aiuti a comprendere meglio il valore della cultura», e anche su questo passaggio generazionale pare esserci un plebiscito, «e un sostegno economico che, a nostro parere, può estrinsecarsi in uno strumento su cui tutti, a parole, si dicono d’accordo: la detraibilità dei consumi culturali». Qui, ancora una volta, interviene Sangiuliano in audizione davanti alle commissioni congiunta cultura della Camera e del Senato il 1 dicembre 2022: «Previa attenta valutazione degli effetti economici, che devono andare a vantaggio anzitutto del consumatore finale», il ministro ha evocato la possibilità di introdurre nel sistema fiscale «un meccanismo di detrazione delle spese per l’acquisto di beni e servizi culturali assieme all’abbassamento dell’IVA su alcuni di questi prodotti. Ciò nella consapevolezza che l’industria dell’arte e della cultura in Italia mettono in moto una filiera produttiva e un numero di addetti ai lavori molto importante». Il Ministero della Cultura è titolare di interventi per 4 miliardi e 275 milioni di euro, inseriti nella Missione 1 – Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura, Componente 3 – Turismo e Cultura 4.0 (M1C3) del Pnrr. Quindi non è una richiesta velleitaria quella di incentivare la fruizione dei consumi culturali che devono essere accessibili a tutti e per tutti, soprattutto se le intenzioni programmatiche di restituire un afflato di vita a un comparto sempre in fondo alla lista delle priorità di governo vengono sbandierate a più riprese: «Laddove c’è cultura c’è senso civico e senso di appartenenza alla nazione, ma la cultura è anche uno straordinario fattore di sviluppo socio-economico», ci ricorda ancora Sangiuliano nella conferenza stampa alle Terme di Baia in occasione della Giornata Nazionale del Mare dell’11 aprile scorso.
Quanto non sembra essere chiaro, e per questo sarebbe utile guardare al paese reale e non solo alle stime degli ingressi turistici in alta stagione, è che la cultura costa e per il consumatore finale si tratta sempre di quanto si è disposti a spendere per approfittare dell’offerta. Perché sì, il sistema di fruizione dell’offerta culturale è sottoposto agli stessi vincoli di mercato della GDO: prezzi, costi. Quando si dice che è giusto far pagare di più un biglietto (dal primo marzo, ad esempio, il prezzo del singolo biglietto per la Galleria delle Statue e delle Pitture degli Uffizi salirà a 25 euro, dagli attuali 20) a quale consumatore finale ci si rivolge? A pochi. E quando invece arriva il periodo dei Cinemadays con il biglietto a 3 euro e le sale finalmente tornano a riempirsi con il tutto esaurito? A tutti. Un tangibile squilibrio quantitativo. Tuttavia, il ministro illumina la retta via: «Penso che dobbiamo adeguarci agli standard europei perché tra l’altro c’è anche un discorso morale, etico: se una cosa vale ed ha un valore intrinseco, storico, deve anche essere un po’ pagata». Insomma, sembra proprio che la controrivoluzione sia stata messa in atto: strappare la cultura al dominio della sinistra radical chic, sconfiggere una volta per tutte il marxismo culturale e finalmente aprire le porte del fortino di via del Collegio Romano per portare ordine e progresso nel caos since 1968.
“Il consumo culturale è un potente strumento e criterio di classificazione e gerarchizzazione sociale” dovrebbe diventare il brocardo del Mic se non si vogliono anche in questo caso cittadini di serie A e cittadini di serie B, se non si vuole impoverire ulteriormente gli strati già svantaggiati della popolazione, se l’obiettivo non è quello di soffiare sul fuoco dell’impoverimento del pensiero. La cultura è un significante, la sua fruizione ne attribuisce un significato. Siamo noi a dare un senso al cinema, al teatro, all’editoria, ai musei, alla musica; il nostro pensiero agisce sul prodotto e il prodotto agisce sul nostro pensiero e, a sua volta, il nostro pensiero agisce sulla società, sulla collettività. Come possiamo aspettarci un miglioramento? O meglio: come possiamo meravigliarci dinanzi a questa stagnazione? O meglio ancora: perché stupirci di tutta questa barbarie che ci circonda se nulla viene fatto per – quantomeno – arginarla, a partire dagli strumenti più immediati che abbiamo a disposizione? A quanto pare dobbiamo essere meritevoli, ma per noi la strada ormai è tracciata. Confidiamo affinché almeno i neo-maggiorenni si diano da fare per riappropriarsi di un diritto che sarebbe dovuto essere inalienabile e che lavorino abbastanza per poter conservare il privilegio della cultura.
Elettra Raffaela Melucci