È in corso la procedura di rinnovo del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. L’organo costituzionale a carattere consultivo del Governo e delle Camere, è previsto dall’art. 99 della Costituzione ed è stato istituito con la legge n. 33 del 1957 e riformato con la n. 936 del 1986 e poi con il decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011 che ha modificato composizione e compiti del CNEL, sia riducendo il numero dei suoi componenti, in funzione di una riduzione dei costi degli organi istituzionali, sia modificando le procedure di funzionamento.
Il CNEL venne pensato in sede di Assemblea costituente come un organo di rilevanza costituzionale con funzioni consultive, sede permanente di confronto tra le parti sociali, ma a parte la prima fase della programmazione economica dei governi del primo centro-sinistra, in cui venne coinvolto sulla politica di piano, è rimasto, nei fatti, un simulacro di rappresentanza corporativa senza organizzazione pubblicistica, come il suo omologo transalpino: le Conseil économique, social et environnemental (CESE).
E sull’utilità di tale organismo si discute sin dal carteggio tra il suo presidente Pietro Campilli, nel 1960, con l’allora premier Amintore Fanfani, per arrivare al referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi nel 2016, che ne prevedeva la soppressione, nel quadro del modello della disintermediazione tra istituzioni pubbliche e soggetti rappresentativi degli interessi collettivi, per cancellare gli anni della concertazione che videro il sindacato e le altre forze sociali, svolgere un ruolo fondamentale nella realizzazione delle politiche economiche e sociali di risanamento della finanza pubblica e di tutela dei livelli di welfare.
Ma alle incertezze sul ruolo istituzionale del CNEL si devono aggiungere le farraginose procedure relative alla individuazione dei suoi componenti – che in passato hanno dato luogo a sistematici contenzioni innanzi alla giurisdizione amministrativa – scelti tra i rappresentanti del mondo del lavoro dipendente e di quello autonomo, dell’impresa e del terzo settore, che non hanno valorizzato il dato fondamentale del pluralismo, né hanno individuato criteri selettivi certi in materia di effettiva rappresentatività e non di quella dichiarata, attribuendo una discrezionalità che spesso è scaduta nell’arbitrio al governo, circa le nomine dei consiglieri.
L’attuale governo ha la possibilità di evitare che si riproponga quanto avvenuto nei decenni trascorsi, individuando procedure che premino la rilevazione oggettiva della rappresentatività nella selezione dei componenti, privilegiando il dato del pluralismo quale condizione fondamentale della democrazia partecipativa, alla cui cultura il CNEL dovrebbe ispirarsi, per realizzare anche in Italia il dialogo sociale di stampo europeo.
Un CNEL ancorato al principio del pluralismo, con presenza di tutte le organizzazioni datoriali e dei lavoratori rappresentative e non solo di quelle cosiddette “storiche”, potrebbe essere la sede anche per il confronto tra il governo e le parti sociali su alcuni dei nodi strategici della nostra economia, a partire dai temi del salario minimo legale, della efficacia della contrattazione collettiva, del contrasto al dumping sociale, della tutela dei nuovi lavori in piattaforma, della riforma fiscale: un’occasione per l’attuale governo di rilanciare il dialogo sociale, in una fase in cui si annunciano conflitti sindacali.
Maurizio Ballistreri
Professore di diritto del lavoro, Università di Messina – Direttore dell’Istituto di Studi sul Lavoro