Sedici schede. Hanno lavorato assieme, per alcuni anni, vescovi e rabbini, al fine di “conoscersi meglio” e di combattere “pregiudizi e stereotipi”. “Un piccolo ma grande passo verso una reciproca comprensione”, spiega Noemi Di Segni, che presiede l’Unione delle comunità ebraiche. Proprio le firme congiunte dell’Ucei e della conferenza episcopale, la Cei, sanciscono l’importanza e l’ufficialità di questo agile ma minuzioso documento che per la prima volta spiega in maniera condivisa la storia, i princìpi, i dettami della religione mosaica e il suo rapporto con il cristianesimo.
Un’esauriente opera didascalica destinata a insegnanti e studenti, e quindi veicolata alle case editrici scolastiche, ma che si rivela preziosa per chiunque voglia approfondire temi pochi conosciuti e che risponde a tutte le domande possibili, anche le più scomode. Il proficuo testo è facilmente consultabile, e scaricabile, sui siti delle due organizzazioni.
Le sedici schede, novanta pagine in tutto, compresa un’agile bibliografia, sono suddivise in tre sezioni: i concetti fondamentali, la vita della comunità, la storia dell’ebraismo. Nella prima sezione, ecco la Tanakh, la bibbia, acronimo delle tre sezioni che la compongono, la Torah (il Pentateuco), i Neviim (i libri profetici), i Ketuvim (gli agiografi). E ancora la Torah orale e la Mishnah (la sua redazione scritta), il Talmud (studio) e la Ghemarà (completamento). Poi il nome di Dio, anzi i nomi: YHWH (Colui che è stato, è e sarà), A-donay (Signore delle schiere celesti), El Elohim (il potente), Shadday (colui che nutre, soddisfa e fornisce). Il rapporto tra lettere e numeri è alla base di ogni studio misteriosofico ed è l’oggetto della Qabballah, secondo la quale il Tetragramma contiene “la rappresentazione di tutti i mondi e di tutti i livelli di realtà”.
Sempre nella prima area, si affrontano i temi del popolo eletto (“che Israele sia scelto non vuol dire che sia o che si ritenga migliore di altri”), il controverso rapporto tra giustizia e misericordia, i precetti e i valori.” Gli ebrei sono tenuti ad osservare 613 precetti (miswot): 365 divieti e 248 doveri. Questi numeri riguardano la condizione umana:365 quanti i giorni dell’anno e 248 quante sono le parti del corpo umano”:.
La seconda sezione comprende il calendario, le ricorrenze, i digiuni e le feste; il ciclo della vita, dalla circoncisione alla sepoltura, la funzione dei sacerdoti e dei rabbini, dall’antichità ad oggi; il ruolo della donna, alla quale, ed è questa la differenza più significativa con l’uomo, “non viene richiesto di seguire i precetti legati ad un orario preciso, come ad esempio mettere i filatteri (tefillin) ogni giorno entro l’ora stabilita”.
La terza, e ultima, sezione è dedicata alla storia dell’ebraismo, a Eres Ysarel (la terra di Israele), a Gesù/Yeshua, a Paolo/Shaul, ai rapporti con la Chiesa cattolica e alla svolta del Concilio Vaticano II. Un capitolo apposito traccia le vicissitudini degli ebrei italiani, dalla diaspora ai ghetti. Vengono ricordate le leggi razziali emanate dal fascismo (a differenza della Meloni non vengono fatti giri di parole) e il corposo contributo alla Resistenza.
L’ultima scheda cerca di chiarire parole e concetti per un loro uso corretto. Ebreo, da Eber, discendente di Sem e leggendario antenato, ed ebraismo “possono riferirsi a tutti gli appartenenti al popolo di Israele a partire dall’epoca patriarcale fino ai nostri giorni”. Giudeo indica propriamente gli appartenenti alla tribù di Giuda, cioè gli ebrei rimasti in Palestina dopo la distruzione del loro regno (722 a.C.) mentre il giudaismo si riferisce, in senso religioso, a tutti gli ebrei. Ci sono anche usi linguistici locali, come nel romanesco o in inglese. E, purtroppo, permane un uso distorto della parola giudeo, “come epiteto ingiurioso per stigmatizzare qualità che la tradizione antigiudaica e successivamente antisemita attribuisce agli ebrei quali l’attaccamento al denaro e la propensione all’usura, nonché quella di traditori in accostamento all’apostolo di Gesù, Giuda, simbolo dell’inganno e della slealtà”.
L’Avvenire ha salutato con giubilo la presentazione di questo testo. Ma lo stesso quotidiano dell’episcopato, il giorno dopo, ha titolato: “La legge del più forte non è diritto. La ferita aperta di Maser Yatta”. L’articolo di denuncia si riferisce alle violenze che subiscono i palestinesi in un’area collinare a sud di Hebron, Cisgiordania.
Il rispetto e la conoscenza sono i genitori del dissenso e della critica. Lo sanno bene anche gli israeliani che contestano la riforma della giustizia propugnata da Netanyahu. Sottoporre i magistrati ai politici è una tentazione che non ha alcun connotato religioso. Travalica ogni confine e alligna anche da noi, che abbiamo accolto il premier israeliano come fosse un profeta. Saremo capaci di protestare come gli abitanti di Gerusalemme quando il nostro governo presenterà, in chiave autoritaria, l’annunciato stravolgimento istituzionale?
Marco Cianca