Maurizio Landini chiede alla Cgil un cambiamento, anche abbastanza radicale. La prossima settimana la confederazione aprirà il suo congresso, l’aspetta una discussione serrata, su temi complessi. Un congresso di una grande confederazione è sempre un fatto importante, per il numero dei lavoratori iscritti e per la rilevanza dei temi da discutere. Lo è stato quello della Cisl l’anno passato, lo sarà quello della Cgil stavolta. Anche se non ci sarà la suspence dell’elezione del capo, anzi ancor di più proprio per questo, perché non si parlerà di chi eleggere, della contesa tra due o più correnti, ma ci si concentrerà sui temi congressuali.
Che sono tanti e tutti di primaria importanza. Nunzia Penelope, in un bell’articolo su Il diario del lavoro, li ha elencati riferendo quello che il segretario generale ha detto nei numerosi interventi nei congressi delle diverse strutture della confederazione. La prima cosa sulla quale Landini ha insistito è stata la necessità di un congresso di cambiamento. Il refrain è stato assillante, la Cgil deve cambiare. In realtà, a guardare i risultati più evidenti, la Cgil, e il sindacato in generale, non starebbero poi tanto male. Le tessere aumentano, i contratti si rinnovano, l’economia cresce, l’occupazione non si è fermata, come tanti, troppi pensavano. Ma Landini è fermo nella sua richiesta di cambiamento, e fa bene, perché se si guarda più avanti, cercando di indovinare come sarà la realtà tra qualche anno, qualche timore nasce.
Il problema più evidente, sul quale Landini insiste, è quello della presenza dei giovani. Gli under 35 nella Cgil sono solo il 17%, così, afferma il segretario generale, non c’è futuro. E in effetti se si procede così, la Cgil, e più in generale il sindacato, non hanno davvero un grande avvenire perché quella percentuale tende a calare. Occorre allora invertire questa dinamica. Il problema è come riuscirci, perché sembra davvero un’impresa titanica. Il sindacato è uscito dal cono di luce, e di favore, nel quale ha vissuto per tanti anni, ora manca totalmente di appeal agli occhi dei più giovani, che lo vedono come una sovrastruttura sostanzialmente inutile. Non è stato sufficiente eleggere quattro anni fa alla guida del sindacato più importante una figura carismatica come Maurizio Landini per risvegliare l’attenzione delle fasce giovanili. Qualcosa bisognerà inventarsi, ma al momento è nebbia densa.
Un altro tema del congresso è quello dei rapporti interni alla confederazione. Landini vede troppi steccati nel grande corpo della Cgil. Ogni struttura tende a chiudersi in sé stessa, gelosa delle proprie particolarità. Un pericolo perché così si impedisce il dialogo, il confronto, l’intreccio di esperienze, vitali per mantenere alta l’elaborazione del pensiero. Landini propone allora di potenziare le strutture di base, le camere del lavoro, i luoghi dove è possibile il dialogo, e di mescolare in qualche misura le strutture. Progetto difficile da portare avanti, perché quegli steccati non sono ideologici, bensì il frutto di decenni di esperienze, di storie, che non è facile, e nemmeno utile, cancellare.
Un esempio per tutti, la possibile fusione tra i due principali sindacati industriali, i metalmeccanici e i chimici. Se ne parla poco, anzi se ne sussurra appena, perché nessuno si azzarda a parlarne con chiarezza, ma il tema c’è. Ed è respinto con grande forza dal sindacato dei chimici (e dei tessili e dei lavoratori dell’energia) che ne risulterebbe fatalmente sacrificato. Sarebbe, un po’ come mettere assieme il diavolo e l’acqua santa, impossibile, inaccettabile. Ed è vero, come d’altro canto è vero, però, che un certo meticciarsi, mischiarsi, può alla fine risultare benefico, vitale, anche se non forse in questo caso.
Legato a questo tema l’altro, finitimo, dei perimetri di applicazione dei contratti. Un tema complesso, che è stato posto più volte, anche su un piano diverso, delle aree di competenze delle diverse confederazioni padronali. Lo sollevò la Confindustria quando si trovò a dover gareggiare con le confederazioni degli artigiani e con quelle del terziario nell’associazionismo. Le divisioni di una volta erano cadute e ogni organizzazione si comportava in assoluta libertà. Si cercò di stabilire dei perimetri precisi, ma senza riuscirvi. Fu affidato al Cnel il compito, impossibile, di stabilire qualche certezza. L’esperimento fallì. E non poteva essere altrimenti.
Adesso si pone il problema per i singoli contratti. Le zone grigie tra i diversi contratti sono estese, in tante situazioni non si sa bene quale contratto si deve applicare, tanto che alla fine decide l’azienda, con scelte però solo sue, che mettono il sindacato in difficoltà. Perché se le singole categorie dovessero entrare in un clima di concorrenza tra loro, finirebbero inevitabilmente per prendere le loro scelte strategiche in virtù dell’appeal che queste avrebbero agli occhi delle aziende invece che per il benessere dei lavoratori. Insomma, c’è il rischio che si crei una situazione troppo caotica, nella quale sarebbe difficile destreggiarsi. È vero che serve chiarezza, ma chi ha il potere di stabilire quei confini?
E poi c’è il tema del confronto con il governo Meloni. Landini è esplicito, la nostra storia, afferma, non è in discussione, e si prepara a una contrapposizione dura. Discorso ineccepibile, che però si scontra da un lato con la necessità di calibrare le scelte sulla base dei fatti e non delle idee, quindi di decidere solo dopo aver portato fino in fondo il confronto, dall’altro con la necessità di non rompere il collegamento stretto con la Cisl, già in evidenti difficoltà. Del resto, Landini ha in mente di proporre al congresso il compito di elaborare un modello di società, da offrire ai lavoratori e, più in generale, al paese. La sinistra è povera di strategie, specie quelle vincenti, è vero, ma è questo il compito del sindacato? La parola, anche in questo caso, al congresso. Dove servirà coraggio, come dice Landini, ma anche passione, che per fortuna al sindacato non difetta.
Massimo Mascini