Il 2022 è stato l’anno dell’aggressione russa all’Ucraina e di tanti altri eventi che ci hanno fatto temere lo scatenarsi delle “sette piaghe” d’Egitto. Dapprima c’è stato l’allarme sanzioni economiche che – secondo certa propaganda ben alimentata dai talk show – avrebbero provocati effetti nefasti sulla nostra economia più che su quella russa. Le televisioni andavano alla caccia di imprenditori che raccontavano quale fosse il danno subito dalla sua azienda, dal venire meno del mercato russo. Poi è scoppiata la crisi energetica che, insieme a quella delle materie prime, era già stata innescata in precedenza dagli sconquassi determinati dalla pandemia sui mercati globali. Per settimane abbiamo assistito all’esibizione di bollette impazzite e a famiglie costrette a digiunare per poterle pagare. Benché si fosse in campagna elettorale con un governo in carica per gli affari correnti, da tutta Italia proveniva la rivendicazione di uno scostamento di bilancio di almeno 30 miliardi, nello stesso momento in cui con i decreti aiuti il governo Draghi ne stanziava complessivamente, in diverse rate nell’arco di alcuni mesi, circo 60. Ma agli italiani si spiegava che l’autunno e l’inverno avrebbero portato gelo, fame, miseria, chiusura di aziende, licenziamenti in massa, razionamenti di beni essenziali, scaffali vuoti nei supermercati, nel contesto di un’inflazione che era ripartita alla grande dopo decenni a sonnecchiare con tassi da prefisso telefonico. Ogni allarme subiva nell’arco di qualche mese una smentita, magari solo parziale: col crollo del prezzo del gas si stabilizzavano anche le bollette e le analisi compiute dalle istituzioni preposte dimostravano che le risorse pubbliche e fiscali immesse nel sistema dal governo erano servite a ridurre sia la povertà che le diseguaglianze. Quanto alle forniture di gas (l’unica soluzione sembrava essere la fine della guerra perché tutto restasse come prima alle dipendenze delle forniture russe) il Paese in meno di un anno ha ridotto il “fabbisogno del ricatto” a meno del 10%. Dopo i livelli record raggiunti dalle quotazioni del gas nel corso dei mesi estivi, con l’arrivo dell’autunno la situazione sul mercato dell’energia è migliorata. A fronte della riduzione dell’offerta di gas da parte della Russia, i Paesi europei hanno messo in atto strategie volte ad aumentare le importazioni da altri Paesi anche attraverso l’incremento delle forniture di gas naturale liquefatto, oltre a limitare la dipendenza dal gas attraverso la proroga all’attività di centrali elettriche alimentate da altre fonti diverse dal gas (ad esempio a carbone o alcune centrali nucleari tedesche in via di dismissione) e accelerando gli investimenti in fonti rinnovabili. Un contributo decisivo è derivato dalla caduta della domanda di gas da parte delle famiglie, che hanno ridimensionato i consumi in risposta ai prezzi più elevati. Ridimensionato questo argomento di allarme, ai media ovviamente occorreva mettersi alla ricerca di altre situazioni drammatiche, da mettere in fila: la minaccia dell’abolizione del RdC prima, la mancata proroga del taglio delle accise sui carburanti. E infine, ha fatto un ingresso suntuoso sul teatrino delle disgrazie la questione del superbonus del 110%, per quanto riguarda il marchingegno delle cessione dei crediti. Nel frattempo, i sindacati pronti ad affrontare un nuovo autunno caldo hanno dovuto accontentarsi di un inverno così così, senza riuscire a capacitarsi del perché i lavoratori si dimettono volontariamente dalle aziende in numero pari a tre volte quello dei licenziati. Mentre le aziende che, secondo, la vulgata, avrebbero dovuto licenziarli li rincorrevano per assumerli. Nei giorni scorsi il Sistema informativo Excelsior, in collaborazione con l’ANPAL e la Ue ha pubblicato un report sull’andamento del 2022. Così un Paese che attendeva un declino inarrestabile ha scoperto che per l’economia italiana quello scorso è stato l’anno del pieno recupero dei livelli di attività pre-pandemia. Anche la domanda di lavoro ha superato il dato del 2019, sia a seguito dell’aumento del numero di occupati, sia per effetto della normalizzazione dei livelli delle ore lavorate per occupato, associata alla riduzione progressiva del ricorso agli ammortizzatori sociali. Le informazioni desunte nell’ambito del Sistema informativo Excelsior confermano pienamente tale miglioramento, mostrando livelli delle assunzioni programmate dalle imprese che superano nella quasi totalità dei settori produttivi i valori precedenti la pandemia. La dimensione quantitativa del recupero si è anche associata ad alcuni aspetti di carattere qualitativo che hanno contribuito a rafforzare il significato della ripresa in corso: in particolare, alla faccia della “precarietà dilagante”, è aumentato il numero delle assunzioni a tempo indeterminato. Inoltre, riscontri positivi in termini di riduzione delle diseguaglianze interne emergono tanto sulla base delle differenze di genere, quanto guardando alle differenze territoriali. Soprattutto la recente performance delle regioni del Mezzogiorno configura – secondo il Rapporto – uno scenario inedito dal punto di vista delle tendenze del mercato del lavoro. Certamente i dati del 2022 ribadiscono da molti punti di vista comportamenti già visti nel corso della ripresa del 2021. Tuttavia, si tratta – sostiene il Rapporto – di andamenti più significativi perché, protraendosi anche in un periodo di crescita meno vivace, evidenziano fabbisogni di allargamento della base produttiva non legati esclusivamente alla specifica fase di rafforzamento della congiuntura, ma a esigenze di carattere più strutturale. I fabbisogni occupazionali espressi dalle imprese sono anche un sintomo di relativa fiducia riguardo alle prospettive economiche. L’economia italiana ha affrontato l’ultima crisi molto meglio di quanto non abbia fatto nel corso delle precedenti recessioni del 2008 e del 2012, anche considerando la performance relativa rispetto agli altri Paesi europei. Tali risultati – il Rapporto la conferma – sono anche un esito delle politiche economiche di segno espansivo adottate per contrastare l’ultima crisi. Il sostegno delle politiche monetarie e fiscali alla domanda si sta adesso esaurendo. Per favorire un percorso di crescita che prosegua anche nei prossimi anni l’economia italiana dovrà riuscire a sfruttare al meglio le risorse del PNRR, portando a termine i programmi di investimento annunciati. Il recupero della domanda di lavoro negli ultimi due anni è stato associato anche a una normalizzazione dei comportamenti dal lato dell’offerta di lavoro. Difatti, il tasso di attività si è riportato in prossimità dei livelli del 2019, recuperando pienamente la caduta osservata nel periodo della pandemia. Tuttavia, questo non è bastato per riportare l’offerta di lavoro sui livelli pre-crisi, dato l’andamento cedente – ecco l’emergenza demografica – della popolazione in età lavorativa degli ultimi anni. L’offerta di lavoro si sta quindi ancora contraendo, con una tendenza che, sovrapponendosi all’aumento dell’occupazione, ha determinato una flessione del numero dei disoccupati. La riduzione dell’offerta di lavoro in un contesto di aumento dell’occupazione determina problemi di reperimento di manodopera che iniziano ad essere diffusi sull’intero territorio nazionale. Si tratta di riscontri che segnalano la presenza di nuove opportunità per chi è alla ricerca di lavoro, soprattutto nelle regioni del Sud. Tuttavia, nella misura in cui tali opportunità stentano a concretizzarsi pienamente in un maggiore numero di occupati, rivelano un vincolo stringente per le politiche delle imprese, che limita gli spazi di crescita dell’economia. Il rischio è che i posti di lavoro vacanti non vengano occupati, traducendosi in opportunità non messe a frutto in modo efficiente, tanto per i lavoratori alla ricerca di un impiego, quanto per le imprese. Negli ultimi anni – prosegue il Rapporto – la difficoltà nel reperire forza lavoro è aumentata praticamente in tutti i settori, anche in quelli dove la domanda di lavoro non è aumentata. Tra i settori che hanno evidenziato il maggiore incremento delle difficoltà di reperimento, vi è quello delle costruzioni, che nel biennio 2021-22 ha realizzato una fase di crescita particolarmente pronunciata. In questo settore, la proporzione di assunzioni che le imprese giudicano difficili da realizzare è arrivata a sfiorare il 52% nel 2022. Le tensioni non sono da ricondurre però soltanto agli andamenti della domanda. Pesano anche i fattori di offerta: guardando al complesso delle attività economiche, emerge che la causa principale della difficoltà di reperimento è la mancanza di candidati. Nel 2022 tale motivazione è stata espressa per il 24,6% dei profili ricercati, mostrando un incremento di oltre 8 punti percentuali rispetto all’anno precedente. La seconda difficoltà riscontrata riguarda la preparazione non adeguata dei candidati, circostanza che le imprese hanno indicato nel 12,4% dei casi. A fronte delle criticità evidenziate, le imprese mettono in campo una serie di strategie per ovviare alle difficoltà di reperimento, assumendo figure con caratteristiche simili per poi formarle internamente (questa risulta la strategia prevalente) o ampliando la ricerca a livello territoriale. È significativo che nella fase più recente stia acquisendo una maggiore importanza anche la leva salariale. Tra gli aspetti più significativi emersi nel 2022 vi è anche un aumento della polarizzazione nei livelli d’istruzione richiesti. Crescono difatti le quote di assunzioni programmate di personale laureato oppure con titoli di studio bassi. Per lo più si tratta di un effetto dell’incremento della domanda di lavoratori per i quali non sono richieste competenze specifiche (camerieri, cuochi, baristi, commessi, conduttori di mezzi pesanti, …), ma potrebbe anche trattarsi di un cambiamento nelle strategie delle imprese che, in presenza di maggiori difficoltà di reperimento di manodopera (mancano infatti i candidati), optano per criteri meno severi nella fase di selezione.
Il Rapporto ammette che le prospettive restano comunque molto incerte, legate all’evoluzione del mercato energetico, oltre che alla successione delle ondate della pandemia, soprattutto in Cina, e alle conseguenze del perdurare del conflitto tra Russia e Ucraina. Una effettiva normalizzazione dei comportamenti su questi versanti potrebbe difatti contribuire ad alleggerire le spinte sui prezzi, attenuando anche la fase dei rialzi dei tassi d’interesse, aprendo quindi a uno scenario macroeconomico più favorevole anche dal punto di vista della crescita.
Giuliano Cazzola