Tra i tanti temi che animano la dialettica tra Roma e Bruxelles, quello della direttiva comunitaria per l’adeguamento energetico degli edifici entro il 2030, in linea con il Green New Deal, è uno dei più caldi. L’edilizia è, da sempre, uno dei principali motori che muovono il Pil, un fascio di muscoli capace di movimentare investimenti e occupazione. Non è un caso, infatti, che la maggior parte delle risorse del Pnrr si riversi proprio sull’edilizia e le infrastrutture, dalla rigenerazione urbana alla cura del territorio. Il settore, come ha fotografato l’Osservatorio della Fillea, il sindacato degli edili della Cgil, sulla base dei dati forniti dall’Ance, dall’Istat, dalle Casse edili, della Banca d’Italia e dal Cresme, è attraversato da criticità strutturali.
Il nanismo delle imprese costituisce oggi il principale gap industriale per il comparto. Numeri alla mano, nel 2022 gli investimenti nell’edilizia sono cresciuti di 90 miliardi rispetto al 2021, arrivati a 232. Dalle costruzioni è venuta una crescita del Pil del 2,2% nel 2021 e dell’1,2% nel 2022, con un incremento della produzione del biennio del 32,5%, una crescita dell’occupazione che ha toccato il 18%, e un balzo di quasi il 32% delle ore lavorate. Ma, a fronte di tale crescita, la contraddizione che emerge sta nella dimensione media dell’impresa, di soli 2,7 dipendenti, la più bassa rispetto ai principali paesi europei. Per intenderci meglio, il 40% delle imprese edili non ha un dipendente a tempo indeterminato. Altro elemento di gravità è il fenomeno del sotto inquadramento, che nell’edilizia coinvolge un lavoratore su due, rendendo il comparto poco attrattivo, considerata anche la gravosità di alcune mansioni. La carenza di manodopera e quindi di specifiche figure professionali, in concomitanza di un’età media sempre più alta della forza lavoro, oltre i 47 anni, rischia di mettere in serio pericolo la realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza: per il 2023 si stima che mancheranno 90mila figure specialistiche, 150mila se si considera l’intero arco di attuazione del Pnrr.
Le costruzioni sono dunque un settore spartiacque per la transizione energetica e tecnologica, ma anche demografica, cultura e multietnica. E il sindacato chiamato a tutelare gli interessi di chi opera in questo settore, stando alla definizione di Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea, deve essere un sindacato di “frontiera”. Nella relazione che il segretario generale ha presentato al XX congresso del sindacato, che si svolge dall’8 al 10 febbraio a Modena, Genovesi sottolinea l’importanza di un’azione sindacale ancor più inclusiva e rappresentativa, capace di tutelare il lavoro e ricucire le sempre più profonde divisioni sociali, in un momento storico nel quale la democrazia vive una crisi senza precedenti, c’è uno scollamento tra mondo della politica e del lavoro e la guerra sembra essere ritornata in auge come strumento di risoluzione delle divergenze.
Secondo Genovesi si può uscire dall’angolo solo grazie a una risposta sindacale e politica di alto profilo programmatico, per l’Italia e l’Europa, capace di produrre nuovo lavoro, buono e stabile. Per questo l’azione del sindacato confederale deve rimuovere ogni forma di corporativismo e rappresentanza individuale, per riportare al centro del lavoro e della politica il valore delle solidarietà. Tutto questo richiede, per Genovesi, l’attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, attraverso una legge sulla rappresentanza, e dell’articolo 46 per la partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali.
Le soluzioni, di medio e lungo raggio, avanzate dalla Fillea sono molte. Alcuni risultati, nella lotta al lavoro nero e allo sfruttamento, soprattutto della manodopera straniera, già ci sono, grazie alla Durc, e all’obbligo di applicazione del contratto nazionale di settore per le grandi opere o per ottenere i vari finanziamenti pubblici. Nell’immediato, spiega Genovesi nella sua relazione, non mancano ulteriori criticità, soprattutto sul nuovo Codice degli appalti, sul quale il governo Meloni non ha mai avviato nessun confronto con le organizzazioni sindacali. Difatti, con l’introduzione di quello che viene definito “subappalto a cascata” sparisce il divieto di subappaltare quanto già subappaltato. Questo potrebbe comportare una frammentazione dei cicli produttivi e un nuovo incentivo al nanismo aziendale.
Le sfide future richiederanno una rinnovata politica industriale per governare la transizione energetica e tecnologica, insieme a un rilancio del partenariato tra pubblico e privato. In questo scenario il sindacato dovrà muoversi con contrattazione d’anticipo, un maggior presidio delle casse edili e un grande investimento sulla formazione per la difesa e la crescita delle professionalità alla luce delle transizioni produttive, ambientali e organizzative.
Tommaso Nutarelli