“Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) mette a disposizione del Paese risorse ingenti. La gran parte di queste, pari a 191,5 miliardi di euro, sono erogate attraverso il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and resilience facility, RRF), il principale strumento del programma Next generation EU. Questi finanziamenti devono essere utilizzati entro il 2026 e sono corrisposti con cadenza semestrale, a condizione che siano completati le riforme e gli investimenti previsti dall’accordo con la Commissione europea. Ulteriori risorse, soggette a minori condizionalità, sono rese disponibili attraverso il programma comunitario React-EU (13,5 miliardi) e la programmazione nazionale aggiuntiva, con l’istituzione di un Fondo nazionale complementare (30,6 miliardi). Nel complesso, i finanziamenti ammontano a 235,6 miliardi, circa il 13 per cento del PIL. L’attuazione del Piano potrà pertanto determinare un aumento significativo della domanda in numerosi comparti; le imprese saranno chiamate ad adeguare rapidamente i propri volumi di attività”. Questo brano è l’incipit di un paper L’occupazione attivata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e le sue caratteristiche, a cura di vari autori (Gaetano Basso, Luigi Guiso, Matteo Paradisi e Andrea Petrella) pubblicato su Quaderni di economia e finanza (QEF) della Banca d’Italia. Giustamente gli autori, nell’Introduzione, hanno voluto riassumere l’ammontare delle risorse sulle quali in nostro Paese potrà contare nei prossimi anni se, come è avvenuto fino ad ora, saranno rispettate le scadenze previste e adempiuti gli impegni richiesti sul versante delle riforme e degli investimenti. La fase più difficile viene ora (anzi è già iniziata da mesi), quando – come si dice – occorre mettere a terra le risorse e dare corso a quei progetti che in tante realtà non sono neppure sulla carta. La ricerca propone una quantificazione della domanda di lavoro generata dal PNRR nei diversi settori e la sua ripartizione per tipo di competenze richieste. Le stime sono ottenute allocando le risorse del Piano ai comparti la cui produzione verrà plausibilmente attivata e calcolando il valore aggiunto generato in ciascuno di essi. Nel calcolo si considerano i legami inter-settoriali attraverso un modello input-output. Si distingue inoltre la domanda generata dalle risorse del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF) e quelle disponibili nel complesso del Piano. Si determina quindi la variazione occupazionale richiesta per soddisfare questa espansione dell’attività e le competenze richieste, sulla base di quanto osservato in passato nei diversi settori.
Nel 2024, anno di massima spesa prevista, il Piano attiverebbe una domanda di lavoro compresa tra l’1,7 e il 2,1 per cento dell’occupazione alle dipendenze. In termini assoluti, l’aumento della domanda di lavoro sarebbe maggiore nelle costruzioni ma interesserebbe anche altri comparti di minore dimensione. In questi settori l’incremento dell’occupazione indotto dal Piano rappresenterebbe una marcata inversione di tendenza rispetto alla dinamica osservata tra il 2014 e il 2019. Nel confronto con la composizione attuale dell’occupazione, la domanda aggiuntiva sarebbe maggiormente concentrata in comparti e attività professionali che impiegano personale altamente qualificato e specializzato. Per valutare appieno le potenzialità del Piano, così come le eventuali criticità, oltre ai fattori di domanda qui analizzati, occorre anche considerare i fattori di offerta. Potenziali difficoltà di reperimento dei lavoratori – avverte la ricerca – potrebbero sorgere a causa del calo della popolazione in età da lavoro dovuto alle tendenze demografiche (a cui sta facendo in parte fronte un aumento della partecipazione) e, soprattutto, dalla scarsità di offerta di figure professionali adeguate che caratterizzava il mercato del lavoro italiano già prima della pandemia da Covid-19.
Per quanto riguarda gli effetti sull’occupazione, a seconda del valore aggiunto prodotto nel saggio si riportano due scenari: uno che considera i soli fondi aggiuntivi del RRF e uno in cui vengono considerati tutti i fondi relativi al PNRR. Nel complesso l’occupazione generata dai nuovi fondi RRF nell’anno di maggior spesa, il 2024, è stimata in circa 300.000 persone (1,7 per cento dell’occupazione alle dipendenze del 2019), il 77 per cento della quale nel settore privato. L’attivazione che verrebbe generata dal totale dei nuovi fondi PNRR nell’anno di picco sarebbe pari a 375.000 (2,1 per cento), di cui il 79 per cento nel settore privato. Nel resto dell’analisi non viene inclusa l’occupazione nei settori dell’istruzione (in valore assoluto comparabile a quella calcolata per il settore delle costruzioni), della sanità e delle altre attività della pubblica amministrazione. Le costruzioni, che comprendono sia l’edilizia sia l’ingegneria specializzata, registrerebbero la variazione dell’occupazione più elevata in termini assoluti, pari in media a circa il 9 per cento del livello del 2019. Se raffrontata con la modesta crescita osservata nei sei anni precedenti la pandemia, la domanda di lavoro attivata dal Piano sarebbe consistente. Va considerato tuttavia che le costruzioni sono l’unico comparto che già nel 2021 aveva ampiamente superato l’occupazione del 2019, per effetto dei consistenti investimenti associati agli incentivi fiscali per gli interventi di riqualificazione del patrimonio abitativo. Negli altri settori l’aumento degli occupati sarebbe più contenuto in valore assoluto. In due di questi, la produzione di computer, elettronica e ottica e la ricerca e sviluppo, la variazione è tuttavia superiore al 10 per cento dell’occupazione del 2019 e rappresenterebbe una marcata inversione di tendenza rispetto all’andamento osservato tra il 2014 e il 2019.
La domanda di lavoro generata – secondo la ricerca- tenderebbe a essere temporanea e la composizione della forza lavoro in termini di competenze richieste potrebbe differire rispetto a quella osservata prima della pandemia. Vengono riportati gli effetti stimati per i sei comparti del settore privato la cui domanda nello scenario più conservativo è almeno pari a 5mila unità. Si può notare che in tutti i principali settori l’occupazione sia aumentata in maniera significativa già nel 2022. Mentre in alcuni di questi la domanda rimane sostenuta per tutto il periodo in cui il Piano è in essere, a prescindere da quando è raggiunto il picco di spesa, in altri tende a contrarsi rapidamente dopo il periodo di massima espansione. La temporaneità del Piano potrebbe quindi determinare alcuni problemi. L’offerta di lavoro potrebbe, infatti, non adattarsi in maniera tempestiva per la difficoltà di ricevere una formazione adeguata a fronte di interventi limitati nel tempo. Anche qualora la forza lavoro venisse formata e assorbita dal sistema produttivo, andrebbe comunque ricollocata una volta che gli interventi andranno a esaurirsi.
La quota attivata dal Piano di lavoratori con competenze analitiche, che comprendono personale altamente qualificato e specializzato, è molto più alta di quella osservata nell’economia prima della pandemia. L’offerta di lavoro di queste professionalità è più rigida dati i costi connessi all’ottenimento delle relative qualifiche (non facilmente sostenibili da parte di tutta la forza lavoro). Anche le attività con più basse competenze sono lievemente più presenti nell’occupazione generata dal Piano che nel mercato del lavoro pre-pandemia; ciò tuttavia non sembra rappresentare un problema data la minore formazione richiesta e la più ampia platea di lavoratori potenziali. L’analisi evidenzia che la domanda di lavoro attivata dal piano sarebbe sbilanciata verso competenze analitiche e specializzate poco presenti nel Paese già prima della pandemia. Ferma restando la dinamica occupazionale indipendente dal Piano, un assorbimento della domanda aggiuntiva sarebbe compatibile con quanto osservato nel periodo pre-pandemico quando la crescita dell’economia è stata più contenuta. Inoltre, parte della domanda di lavoro potrebbe essere soddisfatta attingendo dal bacino dei disoccupati, pari a 1,9 milioni nel terzo trimestre del 2022, di cui circa tre quarti con precedenti esperienze lavorative. I colli di bottiglia potrebbero essere più facilmente prevenuti attraverso politiche di formazione mirate in settori caratterizzati da competenze più rapidamente assimilabili, come ad esempio alcuni comparti delle costruzioni. Interventi di formazione sarebbero necessari anche per facilitare il reimpiego dei disoccupati: quasi il 50 per cento di essi dichiara di non avere un impiego da più di 12 mesi. Il fabbisogno di personale richiesto dal Piano si innesterà tuttavia sull’esistente dinamica della domanda, in parte già volta a sostituire le coorti di lavoratori che escono dal mercato del lavoro per effetto dell’invecchiamento. In uno scenario avverso in cui si mantiene il tasso di partecipazione ai livelli del 2019, secondo la proiezione demografica mediana di Eurostat, l’offerta di lavoro nella fascia 15-69 anni si contrarrebbe entro il 2026 di circa 630mila persone (pari al 2,5 per cento della popolazione attiva nel 2019). L’aumento della partecipazione al mercato del lavoro, già in atto nel corso dell’ultimo biennio, e flussi migratori consistenti potrebbero compensare, almeno in parte, questa dinamica negativa. In alcuni settori potrebbe essere più difficile garantire livelli di competenze adeguati alla domanda generata dal PNRR. Questo è vero soprattutto – secondo la ricerca – in settori quali la ricerca e sviluppo e la produzione di computer, apparecchi elettrici e ottici, dove peraltro la variazione della domanda attivata dal PNRR nei prossimi sei anni sarebbe superiore alla variazione dell’occupazione registrata nel periodo 2014-2019. Questi comparti sono caratterizzati da una forza lavoro altamente qualificata: per compensare l’aumento di domanda di competenze analitiche e specializzate si renderebbero quindi necessari investimenti significativi in istruzione e in politiche attive, almeno – sostengono gli autori – per le figure professionali che richiedono, e permettono, una formazione tecnica specifica acquisibile in tempi ristretti. Politiche migratorie finalizzate all’attrazione di personale qualificato potrebbero rappresentare un canale prioritario per l’aumento dell’offerta di lavoro nel breve periodo in un contesto di perdurante emigrazione di italiani laureati e flussi in ingresso di stranieri caratterizzati da bassi livelli di istruzione. La dinamica della domanda di lavoro sostenuta dal PNRR potrebbe favorire di per sé un miglioramento del saldo migratorio netto.
Fino a qui gli scenari. Tornando al presente, l’Istat ha pubblicato i dati di dicembre 2022. Riassumiamo di seguito la consueta sintesi effettuata, per Adapt, da Francesco Seghezzi. In tutto l’anno trascorso gli occupati sono cresciuti di 334 mila unità. Nel 2022 i disoccupati sono diminuiti di 242 mila unità mentre gli inattivi di 225 mila unità. In tutto il 2022 (a proposito della “precarietà dilagante”) sono cresciuti di 270 mila unità gli occupati a tempo indeterminato e diminuiti di 30 mila quelli a termine. Sempre nell’anno scorso il tasso di occupazione è cresciuto di 1,4 punti per gli under 25, di 1,8 tra i 25 e i 34 anni, di 0,7 tra i 35 e i 49 e di 1,2 tra i 50 e i 64. Depurati dalla componente demografica i dati mostrano una crescita degli occupati under 35 marcata (+3,6) seguiti dagli over 50. La demografia ha un peso sempre più crescente sul mercato del lavoro: nel 2022 la popolazione in età da lavoro (data dalla somma forze lavoro + inattivi) è diminuita di 133 mila unità.
Giuliano Cazzola