Va bene o va male? Diciamo che va meglio di come si temeva, ancora in autunno, e questa è una sorpresa. Navigare fra dati e previsioni contrastanti è sempre sentirsi un po’ come Indiana Jones che corre trafelato fra le insidie e i trabocchetti di un tesoro ben nascosto. In questi tempi eccezionali, tuttavia, un trucco per fiutare almeno che aria tira e mettere insieme un’idea, per quanto vaga, di quello che ci aspetta, c’è. È il tabellone del Ttf, il mercato del gas di Amsterdam, a cui siamo appesi da più di un anno, ma che, ora, non ha più spazio per l’angoscia. Il metano – consegna a marzo – sta a 57 euro per Megawatt. Era esattamente il doppio ancora a dicembre e a oltre 300 in agosto. E l’immediato futuro appare sereno: gli operatori (a cui bisogna dare un po’ di credito, visto che ci scommettono i loro soldi) trattano il metano per il prossimo inverno a 67/68 euro per Mw.
L’economia non è solo energia, ma dopo tre anni di epidemia, inflazione, guerra, stretta creditizia, nessuno poteva escludere comunque un collasso. Invece, niente collasso. Anzi, figuratevi, neanche recessione: nè in Italia, nè in Europa (a parte la Gran Bretagna, che paga con gli interessi la Brexit), nè nel mondo. Il Fondo monetario ha appena rivisto al rialzo le previsioni per l’economia globale, rispetto alle stime di solo tre mesi fa. Il Pil mondiale crescerà quest’anno del 2,9 per cento, che è un ritmo asfittico, rispetto alla norma, quasi da crisi, ma meglio della previsione di ottobre. L’Eurozona si allargherà dello 0,7 per cento e, per un paese esportatore come l’Italia è un’ottima notizia. Finanche la Germania, data per persa ancora poco tempo fa, eviterà, sia pure di misura, la recessione. E l’Italia? La revisione del Fondo è significativa: dal -0,2 per cento, previsto ad ottobre, ad un +0,6 per cento, messo in conto ora per il 2023.
È un segnale di ottimismo, se si considera che l’economia italiana ha concluso il 2022, rallentando: il prodotto interno lordo del quarto trimestre, segnala l’Istat, è inferiore, sia pure solo dello 0,1 per cento, a quello dell’estate. Ma il paese sta dimostrando una capacità di reggere agli choc, superiore al previsto, che le statistiche non colgono appieno. Se si va a guardare più da vicino, si vede ce la produzione industriale, a novembre, è calata dello 0,3 per cento, rispetto ad ottobre, e dell’1 per cento fra l’estate e l’autunno. Il dato, però, è fortemente influenzato dal crollo della produzione nel settore energia (che non è un male, come vedremo). L’industria manifatturiera, che è – insieme al turismo – il fiore all’occhiello dell’economia italiana, nel suo insieme è cresciuta dello 0,1 per cento a novembre, rispetto ad ottobre. Poco? Ma è cresciuta, nonostante un calo del 20 per cento nei suoi consumi di gas per la produzione (vedi sopra, il crollo del settore energia). Di fatto, la produzione è rimasta uguale, nonostante un risparmio vistoso dei consumi di energia, che promette assai bene per il futuro.
E anche l’occupazione manda segnali positivi: rispetto ad un anno fa, c’è un 1,5 per cento di persone in più al lavoro. Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 7,8 per cento, ma il tasso di occupazione (quanta gente lavora rispetto alla popolazione) continua a stare sopra il 60 per cento, che, per l’Italia, è tantissimo. E stanno crescendo gli occupati a tempo indeterminato.
Produzione che tiene, occupazione che si allarga significano che, nei prossimi mesi, la domanda continuerà a spingere l’economia. Soprattutto, se l’inflazione non svuoterà quella domanda, sgonfiandone il potere d’acquisto. Ma i dati segnalano che l’alta inflazione che stiamo subendo è ancora, per il 70 per cento, l’effetto dei prezzi dell’energia che, però, stanno calando. Rispetto alle angosciate profezie di sventura di qualche mese fa, infatti, l’armageddon dei prezzi dell’energia, come di quelli alimentari, non si sono manifestate.
Tuttavia, questo elenco di segnali sono ancora indicazioni sparse, ben lontane da un quadro coerente di solidità. Suggeriscono che l’Italia ha qualcosa a cui aggrapparsi, ma le drammatiche incertezze legate alla guerra ripropongono, invece, un quadro di grande fragilità. In chiave economica, in quale misura le spinte inflattive legate all’energia si sono ormai trasmesse agli altri settori, rendendo impermeabili i prezzi al raffreddamento dei prezzi di petrolio e gas? Non lo sappiamo. La Bce, che questa settimana aumenterà i tassi di interesse dello 0,50 per cento e altrettanto farà, probabilmente, anche a marzo, scommette che il contagio c’è già stato, anche se lo scenario salariale non sembra giustificare queste paure. In ogni caso, non intende correre rischi. Ma gli effetti del caro-denaro possono essere molto pesanti: la stessa Bce segnala un rallentamento diffuso del credito all’economia. Per chi ha memoria lunga, tassi di interesse al 3,50 per cento, che sembra il traguardo a cui punta la Bce, non sembrano drammatici. Ma, visto che, ancora questa estate, i tassi stavano sotto zero, lo sbalzo è mozzafiato. Sopravviveranno quei segnali positivi alla cura da cavallo?
Maurizio Ricci