“Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”. Nella più famosa delle sue Prediche inutili Luigi Einaudi, grande economista piemontese e secondo presidente della Repubblica italiana, poneva una domanda che ancora oggi è fondamentale per ogni buon legislatore: “Come si può deliberare senza conoscere?”
Non deve apparire inusuale presentare con questa citazione, peraltro di un economista “liberale”, l’ottima iniziativa della Fim-Cisl, dal titolo “Il cruscotto del lavoro nella metalmeccanica”, organizzata a Roma il 24 gennaio.
L’iniziativa seminariale ha coinvolto il gruppo dirigente dei metalmeccanici Cisl, ed è stata l’occasione per un’analisi del lavoro nel settore, i cui risultati evidenziano una realtà ben lontana dagli stereotipi “novecenteschi” che, con pigrizia intellettuale, molte volte troviamo rappresentati in molti, anche “autorevoli”, commenti sui media più diffusi.
Un settore, quello metalmeccanico, che vede ormai crescere l’occupazione, nonostante le gravi crisi industriali che ancora sussistono, fino a raggiungere circa 2 milioni di addetti, la cui retribuzione media è intorno ai 40 mila euro lordi, e, come ben ha dimostrato, nella sua relazione, Maurizio Benetti, economista, viene falcidiata da una struttura ormai del tutto obsoleta di tassazione fiscale.
Basti dire che per ogni 100 euro lordi di incremento retributivo, conquistato attraverso una profonda e capillare contrattazione collettiva, quasi la metà viene erosa da aliquote marginali Irpef che ormai penalizzano esclusivamente i lavoratori a reddito fisso (e i pensionati).
Quello metalmeccanico è un settore “vivo” produce ricchezza e “buona” occupazione.
Come messo in evidenza dalla relazione di Fedele De Novellis (Ref.ricerche) l’incidenza dei contratti a termine è intorno al 10% contro il 15% del totale dell’economia nazionale e meno del 3% di lavoratori in part-time involontario, contro la media nazionale superiore al 12%. È un settore che ha visto crescere anche la produttività (il valore aggiunto del settore rappresenta 8,5% del totale dell’economia italiana, contro il 6,2% delle unità di lavoro).
Infine, la contrattazione collettiva, prima della recente “esplosione inflazionistica” ha dimostrato di saper tutelare bene i salari reali degli occupati.
Insomma, emerge un quadro del lavoro, nel settore, lontano dalla “narrazione” degli anni ’60 e ’70. Un settore che ha saputo reagire bene alle crisi degli anni ’80 e ’90, e che ha consolidato competenze professionali ormai di alto livello.
Anche per questo, il contratto nazionale, primo tra i contratti europei, ha aperto una pionieristica strada sul versante della “formazione continuativa”, come ricordato dalla relazione di Andrea Garnero, economista Ocse. Le caratteristiche di questo settore impongono quindi senza “pigrizie mentali” una “contrattazione riformatrice” capace di cogliere le tante e diverse trasformazioni presenti. Non ultima quella della valorizzazione di un lavoro che ormai richiede competenze elevate e giustamente rivendica un ruolo centrale anche nel sistema di “riconoscimento sociale”. Molta strada rimane da percorrere e molte nuove sfide si porranno alla contrattazione collettiva, a partire dalla intelligente difesa dei salari reali in una fase di impennata del tasso di inflazione, senza cadere nell’errore di propagarne gli effetti nefasti.
Questa interessante iniziativa seminariale e il dibattito che ne è scaturito, ha dimostrato, ancora una volta, la verità di quello che un illustre sindacalista, Vittorio Foa, della CGIL, diceva “La FIM-CISL: E’ una bellissima organizzazione di minoranza, che punta, con forza, alla primazia nella categoria, consapevole che per centrare quest’obiettivo è condannata a studiare….”.
Luigi Marelli