Un operaio specializzato del settore dell’edilizia con mansioni di caposquadra ha lamentato che, negli ultimi 2 anni della sua prestazione lavorativa, era stato adibito alla manutenzione dei pozzetti delle fogne stradali e di non aver più svolto mansioni di caposquadra ma semplici mansioni esecutive, svolgendo così un lavoro di manovalanza estremamente ripetitivo e dequalificante. Con l’adibizione a queste mansioni inferiori il lavoratore ha eccepito che l’azienda si era resa gravemente responsabile del mancato rispetto delle limitazioni e prescrizioni certificate, sin dall’anno 2010, dal medico del lavoro, relative al divieto di adibirlo al sollevamento manuale di materiali pesanti e/o ingombranti, essendo egli affetto da “artrosi della colonna vertebrale diffusa con alterazioni dei dischi intervertebrali” e dal 2010 giudicato, dal medico del lavoro, idoneo allo svolgimento delle mansioni ma con prescrizioni e limitazioni. In particolare, la limitazione del medico prevedeva che non dovesse “essere addetto a mansioni che prevedano il sollevamento manuale di materiali pesanti e/o ingombranti e/o in condizioni disagevoli e/o in modo continuativo o rapido e comunque nel rispetto dei limiti previsti dalla legge”.
Il lavoratore ha dedotto che il mancato rispetto delle già menzionate limitazioni mediche ai carichi da parte dell’azienda, determinavano l’insorgenza e il progressivo aggravamento della sua malattia professionale come malattia” da sovraccarico biomeccanico del rachide, con un danno biologico permanente” pari all’8-9%.
La Corte di Appello di Milano ha accolto la domanda del lavoratore, riformando la sentenza del tribunale che l’aveva rigettata.
La Corte di Appello ha assunto questa decisione perché processualmente è emerso che negli atti di causa vi erano le prescrizioni impartite dal medico competente che avevano proibito nel tempo di adibire il lavoratore al sollevamento di pesi di qualsiasi tipo, poi il divieto ha avuto ad oggetto lo spostamento manuale di pesi in modo continuativo sopra i 3 chili e per ultimo la prescrizione di sollevare pesi oltre i 10 kg. I testimoni, che sono stati sentiti sui fatti di causa dal tribunale che ha respinto la domanda risarcitoria, hanno confermato che effettivamente il lavoratore, nonostante questa prescrizione medica, aveva continuato quotidianamente ad essere adibito allo svolgimento delle attività di movimentazione dei carichi. Il consulente tecnico d’ufficio nominato dalla Corte d’Appello, esperto in medicina del lavoro, nella sua relazione ha affermato che le mansioni assegnate al lavoratore non possono non aver inciso negativamente sulle sue condizioni di salute “favorendo l’evoluzione della patologia degenerativa disco vertebrale, configurandosi quindi una tecnopatia a carico del rachide lombosacrale riconducibile concausalmente all’attività lavorativa svolta”.
Per la Corte di Appello di Milano la genesi della patologia è ” riconducibile alle mansioni svolte, essendo sufficiente per far sorgere la tutela in favore del lavoratore che l’esposizione al rischio sia stata concausa della malattia, non richiedendosi che essa abbia assunto efficacia causale esclusiva o prevalente”.
La domanda di risarcimento del danno alla salute proposta dal lavoratore è stata accolta dalla Corte di Appello anche perché è risultata provata la circostanza in fatto che il datore di lavoro non aveva “assolto l’onere di dimostrare di avere puntualmente adempiuto ai propri obblighi di protezione, tra i quali specificamente quelli di cui il danneggiato aveva allegato l’inosservanza: fornire al dipendente strumentazione adeguata per la movimentazione dei carichi; di vigilare sull’osservanza delle procedure e delle direttive impartite per prevenire i rischi”. La Corte di Appello ha aggiunto che “va evidenziato che è responsabilità del datore di lavoro anche quella di assicurarsi che il dipendente effettivamente osservi le misure di sicurezza “.
La corte d’Appello ha così ritenuto sussistenti “i presupposti per l’affermazione della responsabilità risarcitoria dell’azienda per il danno c.d. differenziale”. La quantificazione del danno differenziale è avvenuta applicando le tariffe risarcitorie delle tabelle del tribunale di Milano, comparando tra loro i criteri del risarcimento dei danni previsti dal Codice civile e quelli previsto per legge dalle tabelle risarcitorie dell’Inail.
Corte di Appello di Milano, sentenza n. 978 pubblicata il 12 gennaio 2023.
La causa di Appello è stata promossa verso la metà del 2021. Per la sua decisione è stato necessario l’espletamento di una CTU medico legale. I tempi di definizione nonostante l’ammissione di una consulenza medico legale per la definizione della controversia, sono stati molto ma molto brevi. La Corte di Appello di Milano è una eccellenza nel panorama giudiziario italiano per la celerità delle sue decisioni.
Biagio Cartillone