La domanda che tutti gli italiani si pongono, almeno quelli che si interessano di politica, quindi pochi purtroppo, è chi vincerà il congresso del Partito democratico di febbraio e quindi chi ne sarà il nuovo leader. Domanda che però ne sottintende un’altra, anzi altre due: cosa è il Partito democratico e a cosa serve. Anzi, a chi serve. Seguendo il dibattito precongressuale, che oltretutto dura da mesi, risposte a queste domande non ce ne sono. Come cantava Bob Dylan, “the answer is blowin in the wind”. In altre parole, cioè in italiano, visto che la nostra premier ci ha esortato a usare la lingua nazionale, nessuno ha ancora risposto, o forse troppe sono state le risposte e quindi le indicazioni politico-strategiche, tanto che si è prodotta una babele di proposte, ipotesi, indicazioni, alleanze da costruire o da disfare, idee più o meno strampalate e contraddittorie così che nessuno capisce più niente.
A cominciare da coloro che sono attualmente scesi in campo, dal governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini alla presidente di quel Consiglio regionale Elly Schlein, a Paola De Micheli (un’altra emiliana), fino al triestino Gianni Cuperlo. Ecco, lasciamo perdere i primi tre, ognuno di loro ha una sua biografia politica, alcune idee più o meno giuste, e forse – forse- sarebbero anche in grado di guidare il Partito democratico per come si è sviluppato finora, cioè male. Concentriamoci invece sul quarto incomodo, ossia su Cuperlo. Il quale è sempre stato fedele al progetto del Pd, pur non essendo d’accordo innumerevoli volte con le scelte del partito, vedi per esempio la gestione di Matteo Renzi, con il quale non sono mancati gli scontri tanto che alla fine Cuperlo ha lasciato la Presidenza del Pd per incompatibilità politica e, diciamo pure, antropologica, con l’allora segretario.
Ecco, ora Cuperlo rompe gli indugi e scende in campo (l’aveva già fatto una decina di anni fa ma sapendo benissimo che non sarebbe mai stato eletto), conosce i suoi polli, sa che per vincere dovrà superare il muro delle correnti, dei gruppi di piccolo potere locale che si sono incancreniti in questi anni, dovrà superare l’ostilità di tutti coloro che diranno ai giornali che lui non ha il carisma necessario, non è abbastanza coraggioso, è troppo raffinato nelle sue analisi, non ha insomma il piglio del leader. Quindi è probabile che Cuperlo non riuscirà a vincere.
Tuttavia, tanto per buttarci nella fantapolitica, immaginiamo che invece ce la faccia. Sarebbe una rivoluzione in quel Partito ormai agonizzante, forse, chissà, colto triestino, quello che ha lavorato con D’Alema senza però mai mischiarsi con la spregiudicatezza dell’ex leader, quello che sapeva scrivere discorsi di alto livello, che sapeva, e ancora sa, cosa dovrebbe essere un partito di centrosinistra nel vero senso della parola, sarebbe l’uomo giusto al posto giusto. Anzi al posto sbagliato, perché il Pd oramai non sembra più riformabile, come una volta si diceva parlando dei regimi del socialismo reale. Troppo concentrato, questo Partito, nella lotta per il potere, fosse anche il piccolissimo potere per gestire una corrente o un paesino di provincia o per far fuori un avversario fastidioso. Cuperlo ha le carte in regola per proporre a questo Partito una visione generale, un progetto a lungo termine, un qualcosa che non guardi al giorno per giorno ma che metta le basi per gli anni che verranno.
Certo, dovrebbe impegnarsi in un lavoro immane, dovrebbe azzerare le correnti, dovrebbe scegliere un gruppo dirigente degno di questo nome, dovrebbe soprattutto rimettere in discussione l’atto di nascita del Partito democratico, quella fusione fredda tra Ds e Margherita che si è trascinata dietro soprattutto i difetti dei due partiti e pochissimi pregi. Dovrebbe insomma tentare di costruire un partito nuovo, che non sia la sommatoria di vecchie storie e storielle ma che si proponga di essere la vera alternativa alla destra che oggi governa. E per fare questo dovrebbe riaprire il discorso su chi vuole rappresentare il Partito democratico, quali classi sociali (oddio, oggi non si dice più, che ha un suono d’antico), per dirla in modo magari troppo semplice dovrebbe diventare il luogo di incontro di chi oggi in Italia non sta bene, guadagna poco o niente, paga le tasse mentre altri le evadono, ha bisogni da soddisfare che nessuno ha mai soddisfatto, neanche il Pd che pure ha governato per almeno dieci anni. Insomma, quello di Cuperlo potrebbe essere un vero e proprio partito di sinistra, una sinistra non certo estremista, una volta l’avremmo chiamata socialdemocratica. Come ne sono esistite tante nel mondo, e qualcuna ancora vive.
Ma se Cuperlo fosse eletto sulla base di questo progetto, non sarebbe eletto. E infatti non lo sarà. Fine della fantasia.
Riccardo Barenghi