Il 31 dicembre, ultimo giorno dell’anno, è noto come San Silvestro. È il Papa che resse la cattedra di san Pietro all’ombra rassicurante dell’imperatore Costantino che rafforzava l’impero romano declinante ed in crisi con la nuova linfa di un Cristianesimo destinato a soppiantare il mondo pagano. L’Occidente che conosciamo in buona parte iniziò allora, potere “laico” e potere religioso alleati ed in grado di fondere valori e comportamenti utili per un nuovo equilibrio della società e della storia. Perché vale la pena di ricordare quell’antico momento? Oggi tutto pare rovesciarsi: il Papato diventa il simbolo, quasi unico, di un potere etico, culturale, oltre che ovviamente religioso al quale appellarsi per ritrovare il senso e le ragioni di un impegno riformatore e di idealità che sembrano scomparse.
Se pensiamo poi che il merito di questo Papato è quello di aver usato termini e considerazioni quanto mai chiare e dirette per “schierarsi” dalla parte dei diritti umiliati ed offesi della persona, ci si può render conto della profondità del vuoto che il cosiddetto “pensiero debole” o “pensiero unico” ha lasciato soprattutto nell’Occidente.
Quello che sembra primeggiare nel declino del pensiero laico è un relativismo che rifugge persino dalla ricerca di verità incontrovertibili e si affida non solo alla tecnologia ed alla scienza, ma produce come possiamo notare il prevalere dell’oggi sulla ricerca di futuro, offre spazio ai trasformismi e perfino ad una deriva nichilista che è parente stretta di egoismi e se vogliamo anche di edonismi fini a se stessi.
Certo, in questo periodo constatiamo che il peggio non è mai morto con la sempre più feroce aggressione russa al popolo ucraino o la tremenda repressione in Iran. Il verbo “restaurare” acquista così significati sempre più lugubri e pericolosi.
Eppure non possiamo sottrarci al dovere di esaminare una situazione culturale, sociale ed economica nella quale come d’incanto sono spariti punti di riferimenti, volontà di confronto su come ricostruire una società, ma anche…un’Europa, obiettivi per i quali i valori di libertà, di giustizia, di progresso, di laicità e non laicismo abbiano ancora una qualche valenza concreta.
Non è giusto sostenere che in Occidente tutto è…marcio. Basta guardarsi intorno ed anche le nostre democrazie malate paiono insostituibili. Vero però è che se il richiamo che giunge dal Papato a schierarsi è tanto forte da provocare incontri anche inediti come quello della Cgil con Papa Francesco, con tanto di bandiere che ospitano assieme il rosso con i simboli della chiesa di Roma, è lecito chiedersi dove è finita una lunga tradizione laica e riformista o, meglio, perché mai essa appare non solo inerte ma anche incapace di trasmettere con la sua memoria suggestioni utili ad affrontare le difficoltà di questo tormentato periodo storico.
Certamente l’attuale Papa ha molti meriti e questa Chiesa senza il potere di un tempo ma con un messaggio sociale quanto mai forte è certamente un polo di speranza da non sottovalutare anche per la sua dimensione mondiale.
Ma come è avvenuto anche in passato, negli anni ’60 del concilio Vaticano II, la forza del messaggio sociale cristiano non può non trovare corrispondenza in una cultura laica che abbia la forza anch’essa di interpretare quello che avviene nella sua realtà e produrre nuove idee. Ed è su questo terreno che la politica italiana è quanto mai povera, soprattutto là dove invece doveva essere innovativa, vale a dire nel mondo della sinistra politica e sociale.
La questione non è di poco conto: se si vuole seguire ad esempio l’indicazione di marcia di Papa Francesco, senza affidarci ad un estemporaneo consenso, oppure senza pensare che in tal modo si puntelli un favore popolare che altrimenti può vacillare e proseguire nella sua corsa verso le tentazioni che provengono dalla destra italiana, fatalmente si dovrebbe ripensare ed approfondire il meglio del riformismo.
I temi da affrontare non sono ignoti. Occorre recuperare la centralità della persona, come si è sforzato di proporre anche la Uil. In quella centralità si riporta anche la ricerca del modo migliore per superare difficoltà economiche, per individuare le scelte da compiere per ridurre le diseguaglianze, per trovare soluzioni non in grado di puntellare la democrazia e le regole della politica e del potere, ma per costruire un nuovo sistema democratico capace di offrire della politica una immagine utile e qualitativamente molto diversa da quella che viene rifiutata da molta, troppa gente con i suoi trasformismi, i suoi clan, le sue oligarchie pronte solo a difendere privilegi esclusivi .
Ma ci sono altre tematiche che andrebbero recuperate: quella della partecipazione per affrontare grandi questioni come la riqualificazione del nostro sistema produttivo, come il liberarsi dalla dominanza della finanza, come il ridisegnare un percorso realistico della transizione energetica, come il ridiscutere un percorso che metta in sicurezza il nostro Paese. Ma forse la vera questione sulla quale non si può non esercitarsi è quella della conoscenza: sta in questo termine il vero problema del futuro. Esso vorrà sempre più significare diseguaglianza crescente o parità di opportunità; sfruttamento e precarietà senza un domani diverso oppure una nuova qualità del lavoro e dei diritti; controllo della vita collettiva o mantenimento di spazi di libertà necessari per avere una democrazia compiuta.
Non si dovrebbe mancare questo appuntamento che non è solo culturale. La povertà delle forme della nostra politica, i segnali di disgregazione civile presenti nella nostra società, lo smarrimento che viene utilizzato per creare nuovi ostacoli a processi riformatori, potrebbero acuirsi nonostante la ammirevole volontà di alti messaggi etici. E quello che potrebbe nascere non sarebbe certo un bel mondo in cui vivere ed agire con la speranza di sentirsi protagonisti.
Il primo antidoto da usare è non accontentarsi, non accettare la mancanza di vento nella navigazione con indifferenza, o, magari, con spirito di sottomissione. È importante invece saper reagire. Le difficoltà verso le quali stiamo andando in un 2023 che si annuncia molto complicato non possono essere affrontate immersi in una rassegnazione dettata dalla mancanza di motivazioni ideali e culturali. Si può, si deve, fare di più. Ed il momento è questo.
Paolo Pirani
Consigliere Cnel