Il 29 novembre si è fatto il pieno al centro congressi Frentani per la presentazione del sesto rapporto dell’osservatorio Placido Rizzotto a iniziativa di Flai Cgil. Non di meno le persone collegare in via telematica. Il volume sarà a disposizione più avanti.
Viene distribuito un giornalino della Flai (in Flai n. 2 del novembre 2022) con uno scritto del segretario generale Giovanni Minnini. Davvero rilevante la conoscenza del fenomeno che scaturisce dai varii lavori con anche l’evidenza di una novità: non è più un fenomeno solo meridionale.
Minnini denuncia: “A distanza di oltre sei anni dalla sua introduzione la legge 199/2016 non ha trovato concreta applicazione, soprattutto per quanto riguarda la rimozione delle condizioni di sfruttamento; in particolare la parte dedicata all’accoglienza è rimasta inapplicata, così come quella relativa al trasporto dei lavoratori, ancora in larga parte in mano ai caporali.” Anche l’idea di una “Rete del Lavoro Agricolo di Qualità” ha la strada ancora in salita “visto che ci sono solo 32 Sezioni territoriali nelle oltre cento province italiane, e appena 6.113 imprese agricole, su circa 200mila, sono iscritte alla Rete.”
Quindi permane l’evidenza secondo la quale la repressione è uno strumento necessario, ma largamente insufficiente a sconfiggere il fenomeno. Se i caporali seguitano a svolgere un lavoro necessario saranno loro ad averla vinta salvo qualche arresto, processi e incarcerazioni. Ciò che davvero potrebbe avere efficacia è il sostituirli nell’organizzare l’incontro domanda-offerta e nel trasporto. Ovvio che un ruolo decisivo spetta alle strutture pubbliche, ma davvero la bilateralità, di questi tempi ampliamente osannata come medicina per tutti i mali, non può entrare nella partita ridando ruolo alle stesse organizzazioni sindacali che ne sono promotrici con ruoli decisivi nella gestione? E la stessa cosa non può avvenire per il trasporto?
Analogamente si potrebbe operare nella organizzazione di una accoglienza perlomeno civile dal punto di vista abitativo. Pare che siamo a peggio della condizione che avevano i nostri migranti in Belgio e Germania nell’immediato dopoguerra, cioè nelle baracche degli ex campi di concentramento. Ma qui potrebbe sorreggerci l’esperienza. Mia madre che ha fatto la mondina diceva di alloggi fatti di camerate con cessi comuni, una colazione e due pasti. Sempre riso, ma si mangiava. Quindi una remunerazione fatta di salario, un sacchetto di riso da portare a casa, l’alloggio e tre pasti. Del resto un misto di soldi, alloggio e altro vale tutt’ora per i salariati fissi addetti al bestiame. Non sarebbe plausibile che una parte del salario contrattuale dei braccianti stagionali fosse destinata a finanziare alloggi e trasporti mettendo insieme risorse da lavoratori e imprese con il concorso di Comuni e Regioni che potrebbero assumere l’iniziativa insieme a sindacati, imprese associate e bilateralità?
Questi luoghi potrebbero diventare sedi o recapiti delle stesse strutture di collocamento, bilateralità, patronati e gli stessi sindacati?
Sento dire di qualche esperienza in Piemonte anche ricorrendo ad edifici non utilizzati. Sarebbe la prova che si può fare.
Mi rendo ben conto che non si deve insegnare ai gatti ad arrampicarsi e che sindacati con cento anni di storia le hanno provate tutte, ma se la legge contro il caporalato non funziona sarà bene inventare qualcos’altro.
Sul tema immigrazione sono recenti interventi di due persone che ci hanno messo le mani (una anche scottandosi politicamente). Si tratta di Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio (Corriere della Sera del 5 dicembre) e Marco Minniti intervistato su La Repubblica del 23 novembre. Meglio ragionare anche di ciò che viene da tali esperienze.
Aldo Amoretti
Presidente associazione Professione in Famiglia