La vicenda di Aboubakar Soumahoro è veramente singolare. Nel breve arco temporale di un paio di mesi il deputato di origine ivoriana ma cittadino italiano è passato – come si dice in questi casi – dalle stelle alle stalle. Soumahoro è sempre la stessa persona che fu candidato dalla coalizione dei democratici e progressisti (in quota Sinistra italiani e Verdi) in un collegio uninominale ritenuto sicuro a Modena (dove fu sconfitto), ma blindato in altri collegi proporzionali che gli hanno garantito l’elezione alla Camera. Si è presentato – nella prima seduta – indossando un abito di sartoria ma con gli stivali da lavoro, sporchi di fango. Un gesto che personalmente ho trovato sgradevole e offensivo per l’istituzione di cui era entrato a far parte. Peraltro, da quanto si è saputo nei giorni successivi probabilmente quegli stivali. Soumahoro non li aveva mai indossati e li aveva infangati apposta, per ragioni di scenografia politica. Ma i principi non possono essere messi da parte per motivi di simpatia o antipatia.
La gogna a cui è stato sottoposto è inaccettabile. E’ il solito processo mediatico che prescinde persino dall’azione della magistratura perché il deputato non risulta essere indagato. E se anche lo fosse o lo sarà come tutti i cittadini italiani deve essere considerato innocente fino a sentenza definitiva. Per un rappresentante del popolo – che deve servire la nazione con onore e disciplina – contano anche certi comportamenti scorretti e discutibili anche quando non prefigurano alcun reato. Ormai è divenuto difficile liberarsi della deriva del panpenalismo che ha sommerso la vita civile del Paese. Ma le eventuali colpe della suocera o della moglie (ancora da accertare) non possono ricadere su di lui.
A leggere il curriculum di Soumahoro si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un personaggio con un profilo ben definito che nulla ha di comune con i clandestini che raccolgono pomodori sotto il sole cocente e vivono in baracche malsane tirate su con qualche lamiera e cartone. Tuttavia, al di là delle appartenenze sindacali e politiche, la sua è stata un’attività di grande impegno nella tutela degli immigrati. Aboubakar era diventato – a torto o a ragione – un simbolo di una battaglia radicale in nome di certi principi e valori. Sia pure all’interno di organizzazioni sindacali di base la cui funzione a servizio dei lavoratori è molto discutibile. E come un simbolo è arrivato in Parlamento, perché la sinistra è un’organizzazione di “cacciatori di teste”; sceglie le persone che rappresentano una particolare realtà. Tanto per capirci: se Alessandro Zan fosse eterosessuale non sarebbe stato preso in considerazione dal Pd. Soumahoro rappresentava il simbolo della lotta contro il caporalato, contro lo sfruttamento dei “dannati della terra” e in questo ruolo (l’immagine è sostanza nel Paese del “percepito”) dava un’efficace copertura alla sinistra che non vedeva l’ora di “spendere” quel profilo nella lotta politica.
In seguito – quando sono iniziate le notizie che rendevano sfuocato e dubbio l’alone eroico del personaggio. Soumahoro è diventato, questa volta per la destra, il simbolo dello “nero periglio che vien da lo mare”, la prova provata che gli immigrati (ancorché cittadini italiani) sono dei profittatori che vengono da noi a cercare la cuccagna e che, per sopravvivere (nel caso in esame più che bene) non esitano a delinquere. I giornali di destra sono andati a saccheggiare il guardaroba della moglie; non si sono neppure posti il problema delle origini delle borse LV (non potrebbero essere un falso ben imitato venduto dai Vu Cumprà?). I media di quella parte politica hanno condotto una campagna infame, così violenta da intimidire la sinistra che aveva candidato quel personaggio, a cui, in seguito, non ha perdonato di non essere un eroe senza macchia e senza paura, ma un uomo che – come tanti – ‘’tiene famiglia’’.
Il duo del Cocomero Bonelli-Fratoianni ha lo stesso atteggiamento di chi ha scoperto dei ‘’vizi occulti’’ nel prodotto acquistato e vorrebbe restituirlo. Soumahoro andava bene quando ha avuto la prontezza di replicare a Giorgia Meloni che si era rivolta a lui usando il “tu” obbligandola addirittura a scusarsi pubblicamente. Ma la “ditta” si guarda bene dal difendere quanti incappano nella gogna mediatico-giudiziaria. C’è una lunga fila di militanti che è finita nel mirino di una giustizia assatanata, che sono stati lasciati soli per anni a difendersi, messi da parte come appestati, anche quando le accuse sembravano assurde. Perché quando si lavora per anni con un compagno si impara a conoscerlo. E non si può credere che sia un criminale. Tornando al neo deputato caduto in disgrazia, è bene tenere ben saldo un principio: quando c’è da scegliere tra l’opportunismo e lo Stato di diritto, bisogna imboccare questa seconda via anche se è più scomoda e difficile.
Contrariamente alla “dottrina Davigo” è meglio un colpevole che l’ha fatta franca che un innocente in carcere. E soprattutto bisogna convincersi che il tema dei migranti è ben più complesso di una crociata del bene contro il male. Quanto all’ on. Aboubakar Soumahoro la smetta di andare a piagnucolare in giro, faccia il lavoro per cui è stato eletto, se individua degli estremi minacci delle querele. E in generale tiri fuori quella grinta da capopopolo e mandi tutti a fare in c..o.
Giuliano Cazzola