Pensate che l’inflazione europea sia al 10 per cento, come dicono i giornali? Errore. Quella è una media e, come sempre, le medie ingannano. L’inflazione reale che subite dipende direttamente da quanti soldi avete in tasca. Fra l’inflazione effettiva che deve sopportare il 20 per cento di europei più povero e quella che affronta il 20 per cento di europei più ricchi c’è una differenza quasi inesistente fino a poco fa, ma che ora è arrivata rapidamente, avverte uno studio della Bce, al livello più alto degli ultimi quindici anni: quasi 2 punti percentuali. Questo vuol dire che, per i ricchi, l’inflazione non è al 10, ma al 9 per cento. Per i poveri, non al 10, ma quasi all’11 per cento. Ma, attenzione, questa media inganna ancora, perché considera tutti gli europei. In Italia va molto, molto peggio. La differenza fra poveri e ricchi, da noi, arriva a sfiorare i 5 punti. L’inflazione tocca il 14 per cento per i più poveri e si ferma – scrivono i ricercatori di Bruegel, un importante think tank europeo – al 9 per cento per i ricchi. Un gap enorme. E del tutto impossibile da ritrovare in Francia e in Germania – i paesi con cui ci confrontiamo – dove la differenza è inesistente o, addirittura, rovesciata.
I poveri patiscono di più l’inflazione, argomentano gli economisti della Bce a Francoforte, perché destinano una quota maggiore della loro (ridotta) spesa totale ad acquisti obbligati, come le bollette e il cibo, i beni che più hanno visto salire i prezzi. Inoltre, dato che, da sempre, comprano i prodotti scontati, non possono risparmiare – al contrario dei ricchi – rinunciando alle grandi marche. Ecco perché la differenza fra i tassi di inflazione delle due categorie sociali fra il settembre 2021 e il settembre 2022 è schizzato da meno 0,1 a più 1,9 per cento, a danno dei più poveri.
Secondo il database preparato dai ricercatori di Bruegel, tuttavia, questa differenza varia in misura significativa da paese a paese. In Italia, sostengono, l’inflazione registrata ufficialmente è stata del 9,37 per cento, rispetto ad un anno prima. Mediamente, però. Dato il boom dei prezzi dell’energia e la quota di spesa che assorbono nel bilancio delle famiglie più povere, l’inflazione reale, per il 20 per cento di italiani più poveri, è stata del 14,03 per cento. All’altro capo della scala sociale, per il 20 per cento di italiani più ricchi, è stata solo del 9,03 per cento. Il rapporto diretto più reddito, meno inflazione, è confermato se scendiamo un poco in questa scala sociale. Il 20 per cento di italiani subito sotto il 20 per cento più ricco ha un’inflazione del 10,47 per cento. Gli economisti i quali sostengono che l’inflazione sia una tassa crudelmente regressiva (che colpisce, cioè, i poveri più dei ricchi) sapevano quel che dicevano.
C’è un conto, però, che non torna. Analizzando gli stessi dati elaborati da Bruegel per Francia e Germania, questa differenza fra ricchi e poveri si annulla o, anzi, si rovescia. In Germania, contro una inflazione media annua del 10,9 per cento, la corsa dei prezzi vale l’8,46 per cento per il 20 per cento di tedeschi più poveri e il 9,89 per cento per i più ricchi. In Francia, ad una inflazione media del 6,23 per cento, fa riscontro una corsa dei prezzi pari al 6,21 per cento per i bilanci dei più poveri e del 6,44 per cento per i più ricchi. Di fatto, in un caso e nell’altro, il peso relativamente maggiore dell’inflazione sembra essere dirottato soprattutto sulle classi medie.
Il mistero si spiega, quasi certamente, con la rete di sussidi, incentivi, aiuti alle famiglie più disagiate che due economie più forti della nostra sono state in grado di mettere in campo in questi mesi di crisi, soprattutto nel campo delle bollette. Ma il risultato è vistoso: il dramma e la tempesta dell’inflazione che, in questi mesi, scuotono l’Europa sono un problema nostro più che di altri e gli italiani poveri sono più poveri degli altri.
Maurizio Ricci