Un governo di destra dovrà pur farsi riconoscere. Giorgia Meloni si è accorta subito che su parecchi problemi occorre rigare diritti e sembra essersi persuasa (per non innestare precipitosamente la retromarcia come fu obbligato a fare il governo giallo verde) che le politiche di bilancio sono una cosa seria, soggetta a sanzioni automatiche da parte dei mercati se un paese si discosta oltre il lecito dai canoni previsti in ragione della convivenza in una comunità. Così, essendo parecchio rischioso prendersela con Bruxelles, il governo cerca di mandare dei segnali di discontinuità qualificandosi come garante della legalità e dell’ordine contro il lassismo della sinistra. Così fin dalle prime ore di vita l’esecutivo ha lanciato una campagna di spot identitari sulla giustizia e la certezza della pena, sui no vax fino all’inutile e pericoloso decreto Piantedosi sulle adunate “moleste”. Ma perché affidarsi a nuovi prodotti quando si può fare ricorso all’usato sicuro della lotta all’immigrazione clandestina e ai paraninfi delle ONG? In fondo è un argomento collaudato: l’importante è parlarne, mandare i migliori inviati e le telecamere nei punti in cui avvengono gli sbarchi, seminando allarme e pregiudizio. La reazione delle forze democratiche è inadeguata, incapace di andare oltre la testimonianza delle “anime belle”, anche perché il conto lo pagano i territori che stanno in prima linea.
E la sinistra è divisa, non riesce a darsi una linea credibile; oscilla tra un’indifferenza ammantata di “buonismo” (quando la situazione degli sbarchi, per diversi motivi, non è qualificata come emergenza) e il rifugio in una linea di “benaltrismo” che magari è più corretta, ma meno persuasiva perché i “vasti programmi” sono più difficili da realizzare che non il blocco del naviglio delle ONG per qualche giorno. E ovviamente nessuno riesce a mantenere gli impegni che assume perché la questione dell’immigrazione è irrisolvibile. Anche il Conducator della Lega, quando dirigeva il Viminale dalla sede estiva di Milano Marittima, nonostante che non si occupasse di altro, non riuscì a dare corso ai rimedi che proponeva (il blocco dei porti, la persecuzione delle ONG, le accuse alle cooperative, ecc.) caratterizzati dalla pretesa di semplificare al massimo una questione molto complessa e di segnalare all’opinione pubblica i responsabili (che sono sempre avversari politici o istituzioni ostili, asserviti a congiure le più disparate). Per rendere l’idea immaginiamo che gruppi di bagnanti si raccolgano a pochi metri di distanza allo scopo di erigere nel bagnasciuga (copyright Benito Mussolini) dei muriccioli di sabbia rivolti a contenere il fluire delle onde. E che, assistendo al loro crollo, se la prendano con le persone che stanno sedute dietro di loro, nelle prime file di ombrelloni, accusandole di non averle aiutate a fermare il mare. Dalla trappola non si esce se non la si affronta (ammesso che ce ne sia ancora il tempo) il problema di fondo dell’immigrazione che è strutturale nella storia dell’umanità. In un saggio di Diego Masi “Explonding Africa” (Lupetti editore 2018) viene analizzato la questione della demografia che porterà la popolazione africana dagli attuali un miliardo e cento milioni di persone a due miliardi e mezzo di abitanti nel 2050 e forse a quattro miliardi e trecento milioni nel 2100. Il 70% della popolazione subsahariana vive con meno di un dollaro al giorno, ed il 60% della forza lavoro si può considerare disoccupata.
Un saggio di Stephen Smith “Fuga in Europa” (Einaudi ,Torino, 2018) si sofferma anch’esso, sia pure da un altro angolo di visuale, sulle previsioni demografiche per un continente (l’Africa) dove già oggi il 50% della popolazione ha meno di 18 anni, dove solo il 5% delle terre coltivabili è irrigua e dove il 96% dei contadini coltiva meno di 5 ettari a testa. Nel 2050 l’Africa dovrebbe poter quintuplicare la propria produzione agricola per sfamare la crescente popolazione; e da oggi all’Africa occorrerebbero 22 milioni di posti di lavoro in più ogni anno per mantenere gli attuali (assai inadeguati) livelli di occupazione e disoccupazione. Questi numeri vanno messi in parallelo con il declino demografico europeo: lo scenario “Convergence 2010-2060” prevede, in mezzo secolo, 70 milioni di abitanti in meno nel Vecchio continente, in particolare 24 milioni di meno in Germania (-29%), 15 milioni in meno in Italia (-25%), 8 milioni in meno in Spagna (-18%). Per mantenere l’attuale livello di popolazione attiva l’Europa dovrebbe accogliere 1,6 milioni di stranieri ogni anno.
Quanto all’Italia, uno dei più importanti demografi italiani, Massimo Livi Bacci, ricordava (in un articolo apparso su Il Mulino dal titolo (“Un’Italia più piccola e debole? La questione demografica”’), il contributo fornito dall’immigrazione nel tamponare il declino demografico e sosteneva che neppure l’immigrazione è ora sufficiente a mantenere l’equilibrio demografico; la popolazione, infatti, è diminuita di 1,4 milioni dal 2014 quando i flussi di stranieri non sono stati più in grado di compensare il saldo demografico di segno negativo. Quanto alle prospettive future, tra vent’anni, secondo uno scenario ottimistico, lungo un trend di diminuzione della popolazione italiana, al suo interno vi sarebbero delle trasformazioni significative: – 1,6 milioni della popolazione sotto i 20 anni; – 4 milioni di quella in età attiva (tra 20 e 70 anni); + 4,6 milioni degli anziani over70. Questo trend sarebbe consentito in presenza – affermava Livi Bacci – di un guadagno netto migratorio tra le 160mila e 180mila unità ogni anno. Se invece passasse l’ipotesi della “immigrazione zero”, la popolazione scenderebbe di 6 milioni quale somma algebrica tra -11 milioni per i minori di 70 anni e + 5 milioni di coloro che superano tale età. In sostanza, tra ora e il 2040 la popolazione adulta e attiva diminuirebbe di 4 milioni se alimentata da un flusso costante di stranieri immigrati, mentre diminuirebbe di 10 milioni nel caso di azzeramento dei flussi immigratori.
Al dunque, se proseguisse la politica “propagandistica” della destra, l’Italia dovrebbe augurarsi, paradossalmente, la distruzione, per effetto della rivoluzione tecnologica, del più gran numero possibile di posti di lavoro, perché non vi sarebbe altrimenti un’offerta adeguata. La pandemia ha aggravato il problema dei “vasi comunicanti” tra i due emisferi del pianeta. Non dovrebbe essere difficile capire che il fenomeno dell’immigrazione può solo essere gestito e razionalizzato, non impedito, neppure attraverso i “blocchi navali” la cui prospettiva principale, in tutte le epoche, è quella di essere “forzati”.
Giuliano Cazzola