Alcuni lavoratori hanno promosso una causa avanti il Tribunale di Brescia per ottenere il pagamento delle differenze retributive che hanno assunto essere loro dovute per l’orario di lavoro straordinario notturno espletato; in questa rivendicazione non hanno tenuto conto, della decorrenza della prescrizione quinquennale che sarebbe maturata in costanza del loro rapporto di lavoro. I lavoratori hanno sostenuto a loro difesa che la prescrizione nel caso di specie decorreva solo dalla data di cessazione del rapporto di lavoro e non dalla singola data di maturazione del loro diritto, in costanza del rapporto di lavoro.
La Corte di Appello di Brescia, condividendo la motivazione della sentenza del tribunale della stessa città che aveva dato ragione all’azienda, invece, ha ritenuto, anche dopo la riforma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, per effetto della legge Fornero del 2012 e del decreto legislativo del Jobs act del 2015, che la prescrizione, per le aziende che occupano più di 15 addetti, incomincia a decorrere dalla data di maturazione del diritto ed in costanza di rapporto di lavoro.
La Corte bresciana è pervenuta a questa conclusione perché ha negato l’esistenza, anche dopo i due interventi riformatori dell’originario articolo 18 dello statuto dei lavoratori, “di una condizione psicologica di timore del lavoratore, tale da indurlo a non avanzare pretese retributive nel corso del rapporto paventando reazioni del datore di lavoro comportanti la risoluzione del rapporto”. Tutto questo perché i due giudici bresciani hanno ritenuto sempre sussistente “il mantenimento di una tutela ripristinatoria piena, in caso di licenziamento intimato per ritorsione e dunque discriminatorio”.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla questione dell’inizio della decorrenza della prescrizione per i diritti scaturenti dal contratto di lavoro, dopo aver rilevato che si tratta di una questione sottoposta “per la prima volta” alla sua attenzione, ha affermato che si tratta di decidere se la nuova disciplina della stabilità del rapporto di lavoro introdotta dalla legge Fornero del 2012 e dal Jobs act del 2015, “consenta il decorso della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro”.
Nel decidere questa controversia la Cassazione si è richiamata al suo insegnamento “di oltre un cinquantennio di elaborazione giurisprudenziale”. La Cassazione si è sentita così in dovere di precisare che in innumerevoli sentenze “ha ben chiarito la distinzione del doppio regime di (decorrenza della) prescrizione, a seconda della stabilità o meno del rapporto di lavoro. Essa ha così enunciato il principio, poi costantemente seguito, di non decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro durante il rapporto di lavoro solo per quei rapporti non assistiti dalla garanzia della stabilità: dovendosi ritenere stabile ogni rapporto che, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina la quale, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l’efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obbiettive e predeterminate e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo”.
La Cassazione ha continuato affermando che per la corretta soluzione giuridica del problema sottoposto al suo esame “occorre che sia garantita una conoscenza, in termini di generalità e di sicura predeterminazione, di quali siano le regole che presiedono all’accesso dei diritti, alla loro tutela e alla loro estinzione”; aggiungendo che “il criterio di individuazione del dies a quo di decorrenza della prescrizione dei diritti del lavoratore deve soddisfare un’esigenza di conoscibilità chiara, predeterminata e di semplice identificazione”.
Per la Cassazione occorre che “fin dall’instaurazione del rapporto, ognuna delle parti sappia quali siano i diritti e soprattutto, per quanto qui rileva, quando e “fino a quando” possano essere esercitati: nel rispetto e nell’interesse del lavoratore, destinatario della previsione in quanto soggetto titolare dei diritti; ma parimenti del datore di lavoro, che pure deve conoscere quali siano i tempi di possibili rivendicazioni dei propri dipendenti, per programmare una prudente, e soprattutto informata, organizzazione della propria attività d’impresa e della sua prevedibile capacità di sostenere il rischio di costi e di oneri, che quei tempi comportino”.
Per la Cassazione il nuovo quadro normativo, che ha modificato significativamente l’originario assetto dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori così come formulato nel 1970, non assicura “una altrettanto adeguata stabilità del rapporto di lavoro” creando nel lavoratore quel timore della perdita del posto di lavoro che lo induce naturalmente a non agire contro il suo datore di lavoro per rivendicare i crediti che ritiene esser maturati.
La tutela della reintegrazione nel posto di lavoro, per i casi specificatamente previsti dalle due riforme dell’originario articolo 18 dello statuto dei lavoratori nella formulazione del 1970, per la Cassazione “non costituisce garanzia sufficiente”. Il metus del lavoratore nei confronti del datore di lavoro è una condizione oggettiva. Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato nell’attuale assetto giuridico non è assistito da un regime di stabilità predefinito con certezza delle parti in causa.
La Cassazione ha così accolto il ricorso dei lavoratori indicando alla Corte di Appello di Brescia la corretta interpretazione delle norme in materia di inizio della decorrenza della prescrizione: “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”. (Corte di Cassazione-sezione lavoro-26246 pubblicata il 6 settembre 2022).
Questa sentenza inciderà profondamente sulla gestione dei rapporti di lavoro delle aziende che occupano più di 15 addetti perché consente, a chi espleta ancora oggi la sua attività lavorativa alle dipendenze dell’azienda, di poter rivendicare crediti che risalgono fino al 2007 e anche oltre nel caso in cui tra il 2007 e il 2012 il lavoratore abbia provveduto ad interrompere la prescrizione chiedendo la soddisfazione del credito. Con la prescrizione quinquennale o decennale che decorre solo dalla cessazione del rapporto di lavoro le imprese difficilmente potranno avere certezza sul fatto che non possano più sopravvenire passività.
Se i lavoratori con la legge Fornero e il Jobs atto hanno perso la stabilità reale del posto di lavoro così come disciplinata in origine dallo Statuto dei lavoratori del 1970, con l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione in questa sentenza possono ritenersi ampiamente soddisfatti nel bilanciamento degli opposti interessi, entrambi costituzionalmente rilevanti.
Biagio Cartillone