Eccoci qui, con la prospettiva di passare l’inverno alla canna del gas. Rovesciando la metafora, s’intende: non siamo alla canna del gas per istinti suicidi, ma per accertare se da questa maledetta canna esce o non esce lo stramaledetto metano che ci deve illuminare e riscaldare casa. Al netto delle (pesanti) incognite della politica, da novembre in poi saranno mesi difficili, fra un’economia che rallenta, i tassi di interesse che salgono, l’inflazione che cammina. Ma la differenza fra difficoltà e disastro la farà la carenza o meno di un fattore cruciale per le famiglie e le industrie.
La cattiva notizia, infatti, è che, oltre ad andare nelle caldaie delle case e nelle fornaci di molte imprese, il gas è più importante per l’Italia che per altri paesi per un diverso motivo: almeno il 43 per cento dell’elettricità italiana viene da centrali a metano (la media europea è il 28 per cento) e per questo, oltre al freddo, rischiamo il buio. Peraltro, la possiamo leggere anche come una buona notizia: poiché l’elettricità si può produrre anche in altri modi, se noi spingiamo a fondo sulle rinnovabili possiamo ridurre il consumo di gas più e più velocemente di altri paesi. In tempo per questo inverno? Sembra difficile. Qui, però, la buona notizia è che gli stoccaggi sono pieni già all’80 per cento e abbiamo un po’ di riserva. Purtroppo, c’è anche quella cattiva: pure con gli stoccaggi pieni, arriviamo fino a febbraio. Marzo (che, a Roma, ad esempio, è il mese più freddo) è una scommessa con il meteo. Senza contare che, se a marzo il gas negli stoccaggi è sotto il livello abituale del 40 per cento, ricostituirli in tempo per l’inverno 2023-24 è una corsa proibitiva. Ma vogliamo stare qui già a preoccuparci per l’inverno dopo il prossimo? Come dice Scarlett O’Hara in “Via col vento”: “domani è un altro giorno”. E abbiamo tempo per prepararci.
Come? Il primo passo è sganciare il prezzo dell’elettricità da quello del gas. Ci sono molti motivi per cui il sistema europeo prevede che i due viaggino di conserva, ma, oggi, come riconosce ormai anche la Commissione di Bruxelles, questa struttura – l’asta a prezzo marginale – non può più reggere. Come funziona, infatti? Ogni giorno, il gestore nazionale della rete elettrica dichiara di quanta energia ha bisogno. Ogni produttore offre la sua disponibilità ad un determinato prezzo. Ma non sarà quello il prezzo finale. Questo sarà il prezzo chiesto da chi fornisce l’ultimo kilowatt necessario quel giorno. Se il fotovoltaico fornisce il 98 per cento dell’elettricità chiesta a 20 euro a megawatt, ma l’ultimo 2 per cento lo hanno solo le centrali a gas, che ne chiedono 200, il prezzo dell’elettricità (tutta) quel giorno sarà 200 euro. E’ un formidabile incentivo allo sviluppo delle rinnovabili, a cui vanno corposi extraprofitti, ma vuol dire che paghiamo ogni giorno l’elettricità ad un prezzo che non è quello effettivo ed è, in realtà, stragonfiato.
Rallentata, così, la corsa delle bollette della luce, il secondo passo è frenare quelle del gas. Qui, l’idea che si sta facendo strada, dopo una lunga campagna da parte del governo italiano, è un tetto al prezzo del gas. Ma tetto a cosa e come? Inizialmente, si diceva un tetto al gas che arriva dalla Russia, ma, poiché, è probabile che Putin chiuda del tutto i rubinetti nel giro di qualche settimana, il problema è diventato l’”altro” gas (Norvegia, Algeria, Qatar, Usa ecc.). Bloccare d’autorità il prezzo a cui il gas viene venduto al dettaglio (quello delle bollette, per capirci) avrebbe ripercussioni pesanti a risalire sulla catena di fornitura, a meno che i governi non si facciano carico della (cospicua) differenza fra prezzo di approvigionamento complessivo e prezzo di vendita. Il presidente dell’Enel, Starace, suggerisce invece di intervenire alla fonte: il Ttf, il mercato spot di Rotterdam. Solo una quota minoritaria del metano venduto in Europa passa per il mercato spot, ma le quotazioni vengono utilizzate, quasi ovunque per indicizzare il corrispettivo nei contratti di fornitura e nelle bollette. Bloccare le quotazioni, impedendo, ad esempio, transazioni sopra i 100 euro a Mw (la metà di oggi) dimezzerebbe di colpo il costo del metano su tutto il mercato. Assicurando contemporaneamente a fornitori tradizionali (come Norvegia e Algeria) compensi largamente superiori alle medie storiche (che non superavano i 30 euro a Mw).
Questo tetto lascia, tuttavia, aperto un problema decisivo: una quota crescente del metano che arriva (e arriverà) in Europa viene via nave ed è fornito da produttori privati, che agiscono sul mercato globale. Qui gli acquirenti tradizionalmente più importanti sono gli asiatici (Giappone, Corea, anche la Cina). Ma, negli ultimi mesi, molti trader hanno preferito rompere i contratti con i clienti asiatici, pagare le penali e portare il gas liquefatto in Europa, agli appetitosi prezzi europei.
Un tetto troppo basso, rispetto alle quotazioni sul mercato mondiale, potrebbe indurre i trader ad una conversione a U e a riportare il Gnl in Asia. Per evitarlo, bisogna che i governi europei si facciano carico della differenza fra il prezzo mondiale e quello fissato dal tetto. Probabilmente, spenderanno meno di quanto dovrebbero destinare a incentivi e sussidi a famiglie e imprese, in assenza di tetto.
Gli esperti invitano, tuttavia, a non farsi illusioni. Non ci sarà, comunque, abbastanza gas per soddisfare la domanda normale. Forme di razionamento saranno inevitabili. Bruxelles ha indicato una riduzione di domanda del 15 per cento, un po’ più di un sesto. Ma è una media europea: ci sono paesi, nell’Europa dell’Est che dovranno tagliare i consumi, in assenza di gas russo, anche fin oltre il 40 per cento. La stessa Germania deve arrivare oltre il 25 per cento. E l’Italia? Sta meglio: fra il 7 e il 9 per cento, a seconda che si dia retta alla Commissione di Bruxelles o a tecnici indipendenti. Ecco perché il governo uscente pensa che non occorrano controlli e sanzioni, ma bastino raccomandazioni e un comportamento, in generale, responsabile. Il 7 per cento di gas in meno è una prospettiva sgradevole, ma non pare una missione impossibile. E neanche sembra un motivo sufficiente, nonostante le tentazioni che circolano nella politica italiana, per arrendersi ai ricatti di Putin.
Maurizio Ricci