Riempiere ogni spazio comunicativo per sovrapporsi all’avversario, con il rischio che poi questa comunicazione sia assolutamente priva di progetti e contenuti. È questa l’analisi del professor Adriano Fabris, docente di filosofia morale ed etica della comunicazione presso l’università di Pisa dove dirige il Centro Interdisciplinare di ricerche e di servizi sulla Comunicazione, in merito al linguaggio usato da partiti in questa campagna elettorale. Sul rischio di un ritorno al fascismo mussoliniano, come paventato dalla sinistra, sostiene che non ci siano i presupposti, ma afferma che bisogna fare molte attenzione ai continui attacchi ai quali è sottoposta la democrazia.
Professor Fabris quanto è presente il tema del lavoro nella campagna elettorale, e qual è la visione che i partiti hanno sul lavoro?
Il lavoro non è il tema principe al centro della campagna elettorale. Si parla molto della collocazione dell’Italia nelle scacchiere internazionale, del caro energia, e quando si affronta il tema lavoro lo si fa in un modo particolare, tangenziale. Dai vari schieramenti non è emersa una visione strutturata del mondo del lavoro, ma si ragiona solo in chiave emergenziale, definendo gli aiuti a famiglie e imprese, che sono assolutamente giusti, ma che non sono inseriti all’interno di una cornice più ampia. È tristemente significativo che in un momento così difficile, dove è a rischio la tenuta sociale, nessun abbia intenzione di riprendere la concertazione avviata dal governo Draghi.
Perché secondo lei?
Perché nell’ottica della ricerca del consenso, rischia di essere uno svantaggio, un boomerang per entrambi gli schieramenti. Il centro destra si vedrebbe costretto a intessere rapporti coi sindacati, e non mi sembra che per loro sia una cosa così allettante. Mentre il centro sinistra correrebbe il pericolo di perdere i voti più a sinistra.
Con una vittoria della destra, si parla di un’Italia sempre più lontana da valori europei e dalla sua collocazione nell’alleanza atlantica. È uno scenario possibile?
I rischi ci possono sempre essere. Certamente l’Italia è ben salda nell’alleanza atlantica e nella cornice europea. Anche perché dall’Europa arrivano ingenti risorse che nessuna forza politica può e vuole perdere, anche chi dice di voler ridiscutere il Pnrr. Certamente ci sono dei continui colpi che possono indebolire la posizione dell’Italia all’interno di questo contesto.
Il centro sinistra parla di un rischio fascismo nel caso dovesse primeggiare lo schieramento opposto. È un rischio reale? Nel caso verso che tipo di fascismo andremmo incontro?
Ci sono due considerazioni da fare. La prima è che dal punto di vista formale e comunicativo, la campagna del Pd, incentrata sul dualismo con la destra, per la quale se si vota lo schieramento di centro sinistra si scelgono i valori della democrazia, mentre con la vittoria di Meloni e Salvini si abbandonerebbe questa strada, con il rischio di cadere nel fascismo, è sbagliata e inefficace. Così facendo si parla unicamente all’interno del perimetro della sinistra e soprattutto non si riesce a raggiungere quelle persone che non sanno o hanno un’idea confusa di che cosa sia il fascismo, e non hanno consapevolezza dell’essenza della democrazia. La seconda considerazione è, invece, di ordine sostanziale. È vero che la democrazia è sotto attacco. Chi non ha contezza di che cosa sia la democrazia, e magari ne attacca le sue procedure, i suoi organi di rappresentanza, i corpi intermedi, perché li ritiene un ostacolo e non uno strumento di garanzia e difesa, non sa nemmeno come possa essere la vita in quei regimi dove mancano le libertà. Quindi non c’è il pericolo di un ritorno al fascismo di stampo mussoliniano, ma sicuramente occorre fare molta attenzione.
La narrazione della destra è molto incentrata sulla volontà di offrire una cornice identitaria, forte e definita, entro la quale le persone possano riconoscersi. Che cosa ne pensa?
Guardi parlare dell’identità di un popolo non è affatto una bestemmia. L’identità è il collante che tiene insieme un popolo, che ne garantisce la coesione sociale. Il punto è come ne se parla. Da un lato l’ideologia di sinistra non ha saputo affrontare nel giusto modo il tema identitario, dall’altro la destra lo ha posto su un piano di semplice contrapposizione, alimentando la divisione.
Quello dei diritti è un altro tema che occupa il dibattito politico. In che modo se ne parla?
Anche sul versante dei diritti, la politica tende sempre a usare un approccio che poi porta alla divisione. La sinistra pone molta attenzione a quei diritti che hanno una valenza e un’importanza collettiva, ma che vengono declinati in una chiave fortemente individuale. Questo, tuttavia, può generare frantumazione e scollamento all’interno del tessuto sociale. Dal conto suo la destra si muove in un’ottica del tutto diversa e opposta, affermando quei diritti utili all’interno di una visione del mondo sovranista e autodeterminatrice. Ma anche in questo caso la possibilità di uno scontro è molto elevata, perché due stati sovranisti difficilmente potranno andare d’accordo e cooperare.
Quali sono i canali comunicativi e il linguaggio usato dalla politica?
Si stanno usando tutti gli strumenti e i canali comunicativi. L’ultimo, in ordine di tempo, è Tik Tok, con risultati poco soddisfacenti per i vari Renzi, Berlusconi e Zan che lo hanno usato, e per Meloni e Salvini che ci sono da tempo. L’obiettivo è l’occupazione dello spazio comunicativo e la sovrapposizione agli avversari politici. Si parla per promesse e non per progetti, e anche gli slogan usati dai partiti lasciano davvero sgomenti. La comunicazione del Pd, come detto, è incentrata sulla dicotomia nella scelta tra “noi” e “loro”. Uno stile che è stato oggetto anche di forte ironia, tanto da essere arrivati a “scegli tra il prosciutto cotto o crudo”. La comunicazione di Salvini è tutta incentrata sul verbo credere e sullo slogan “io credo”. Tuttavia il leder della Lega non sembra sapere che in italiano credere vuol dire sia fidarsi di una persona o di qualcosa, sia avere un’idea, un’opinione. C’è quindi molta confusione nel messaggio che vuole trasmettere. Dal canto suo la comunicazione di Fratelli d’Italia è tutta incentrata sulla persona di Giorgia Meloni. Un personalismo che trova la sua perfetta sintesi nelle parole “io sono Giorgia”. E poi si dicono pronti, ma non si sa bene a che cosa. Il punto è che, in generale, questa volontà di fagocitare ogni spazio comunicativo non è accompagnata da una presenza di contenuti.
Emerge una visione per il futuro del paese nelle promesse dei partiti?
Non è nelle mie corde essere pessimista, ma le prospettive non sono delle migliori. Nelle parole dei politici non c’è programmazione, manca un pensiero lungo, un’idea strutturale del paese, ma si ragiona solo sul momento, sull’emergenza, attraverso gli slogan. Durante il meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, molti hanno accolto lo slancio positivo del premier Draghi per il quale l’Italia è in grado di farcela. Credo che ciò sia vero se si recupera quella dimensione concertativa, quel nuovo patto sociale capaci di far convergere le varie forze politiche sul bene del paese.
Tommaso Nutarelli