Profezie e realtà hanno perduto le loro specifiche differenze e si trasmutano le une nelle altre? La domanda la pose Franco Fortini, era il 1965. E, per azzardare una risposta, raccolse in un volume, edito da Laterza, “testi e documenti per la storia di domani”. “Profezie e realtà del nostro secolo”, era appunto il titolo. Tra gli altri, c’erano brani di Ernest Mandel, Oskar Lange, Nino Andreatta, Nelson Mandela, Jean Paul Sartre, Franz Fanon, Mario Tronti, Malcom X, Herbert Marcuse, Claude Lèvi Strauss, Theodor Adorno, Ernesto De Martino, Michel Foucault, Theilard de Chardin.
Una sorta di antologia del pensiero critico, del dubbio, della denuncia, della proposta. La divisione tra l’Occidente e l’Impero sovietico, tra la democrazia e la dittatura, tra il capitalismo e il comunismo non era più così netta come negli anni Cinquanta. Emergevano nuove realtà, la Cina cercava il proprio spazio anche a spese della Russia, i movimenti di liberazione nei paesi sottosviluppati e ancora angariati dal colonialismo davano un senso di novità, il nano Vietnam umiliava il gigante Usa, la contestazione studentesca stava per pronunciare i primi vagiti, le lotte operaie si facevano sempre più risolute ed unitarie, la parità dei sessi usciva dalle catacombe.
Poteva apparire l’alba di un domani più giusto ma è come se Fortini avvertisse che le cose non sarebbero andate nel modo migliore. Temeva, e aveva ragione, che alla fine sarebbe prevalso il cinismo, “l’unico sentimento concesso dagli stati maggiori”. Riteneva esiziali sia il razionalismo pessimista sia il pessimismo religioso: entrambi considerano la natura umana immutabilmente inclinata al male, il primo senza concedere neanche la possibilità della grazia.
E allora l’aspettativa del futuro diventa “consumo anticipato del tempo, una forma spirituale di vendita a rate”. L’utopia viene inglobata e digerita nel momento stesso in cui la si prospetta. L’annuncio del domani copre la pena dell’oggi. La presa di possesso dell’avvenire si rivela un rassicurante inganno.
Inquietante l’ultima frase dell’introduzione: “Dicono che in certi inizi di alterazione mentale il soggetto avverta nell’universo circostante tendersi volontà segrete, favorevoli o ostili; la realtà gli sembra animarsi di intenzioni, indicare. È il soggetto che si sta dividendo da sé e a se stesso fa accenni. Così la realtà sociale sembra ora caricarsi intorno a noi di segni solo in parte decifrabili. Segni di eventi tanto più importanti quanto più si celebrano in oscurità e in parti della comunità umana remote alla vista quotidiana? E che solo in avvenire grideranno a tutti? O sono appena proiezioni del desiderio frustrato e della mente oppressa? Idee della ragione, allegorie, deliri?”.
Qui si poteva vedere tutto. Persino i germi del complottismo e la prospettiva della confusione populista. Sì, la profezia e la realtà hanno perso le loro differenze diventando un unico indistinto.
La pandemia, la guerra, gli sconvolgimenti climatici. Qual’ è, spostiamo all’attualità gli interrogativi posti allora dal poeta e intellettuale, la tendenza profonda in questo primo quarto del secondo millennio? Qual’ è la misura del mondo?
Angosciati dalla siccità, dalla crisi energetica, dalle ondate migratorie, dall’inflazione, dalla corsa alle armi, dalla ripresa dei contagi, dall’incertezza politica, sembra di essere in un vicolo cieco. “È vero, noi troviamo che tutto va male, ma non sappiamo suggerire niente di meglio di un’economia di mercato”, diceva sconsolato, sempre nel secolo scorso, John Kennet Galbraith. Da par suo, capiva già allora quanto “la società opulenta” fosse un’illusoria bolla destinata ad esplodere nel peggiore dei modi.
Ora ci sono da raccogliere i cocci, mentre i ghiacciai si sciolgono, la Russia chiude i rubinetti del gas, i prezzi crescono, la povertà dilaga.
Rileggiamoli, i testi raccolti da Fortini. Antiche pergamene, teorie sepolte e dimenticate. Aiutano a capire le analisi sbagliate, le bugie dette e gli errori fatti. Nel saggio conclusivo, “Progresso ed entropia”, che fu concepito nel 1954, Norbert Wiener avvertiva: “C’è una grande verità nell’immagine secondo cui noi siamo soltanto dei naufraghi su un pianeta ormai condannato, ma anche nel naufragio la dignità e i valori umani non periscono necessariamente ed è nostro dovere, quindi, salvaguardarli il più possibile. Saremo sommersi, ma facciamo che ciò accada in un modo che noi possiamo considerare degno della nostra umanità”.
Da qui l’appello del creatore della cibernetica: “Cerchiamo di avere il coraggio di affrontare il destino della nostra civiltà, come abbiamo il coraggio di affrontare il nostro destino individuale”.
Sono passati settant’anni. Quale è la profezia e quale la realtà?
Marco Cianca