Giornali e televisioni hanno rilanciato con evidenza l’intervista concessa dal Papa alla Reuters. Un’eco mondiale, come è giusto che sia, anche se altre volte le parole di Francesco, bizzarro e imprevedibile, sono state imbrigliate con la sordina. Stavolta le sue affermazioni sulla guerra in Ucraina vanno bene a tutti. Come non condividere il fattivo impegno per la pace, compresa la ripetuta intenzione, stavolta con accenti possibilistici, di andare a Mosca e a Kiev? E poi c’è la smentita alle voci di dimissioni, almeno per il momento, e ai timori per una grave malattia. “Pettegolezzi di corte”, afferma sorridente.
Tutto bene, allora? Al contrario, perché la prospettiva dell’abbandono appare certa: “Per il momento no, davvero. Ma quando io vedrò che non posso andare avanti, lo farò, è questo l’esempio di Papa Benedetto. È stata una cosa tanto buona per la Chiesa, lui ha detto ai Papi di fermarsi in tempo”. Ecco, è come se la clamorosa scelta del 2013 fosse ormai diventata un precetto canonico. Il codice di Celestino V. Il “gran rifiuto” eletto a sistema. Non ignavia ma coraggio. E se il peccato assurge a virtù, con buona pace di Dante andrebbe rivista anche la Divina Commedia.
Così è, da qualsiasi parte la si voglia vedere. E la conferma viene da un altro colloquio con Bergoglio, fatto, nelle stesse ore della Reuters, dall’agenzia di stampa argentina Télam. Nell’ultima domanda la giornalista Bernarda Llorente chiede, con un tono di confidenza dovuto alla comune nazionalità e all’intesa linguistica: “La trovo bene, Francesco. Avremo Papa Francesco ancora per un po’?”. “Lasciamo che lo dica Lui lassù”, risponde devoto ma determinato il vicario di Cristo.
“Ancora per un po’”, è un’affermazione inequivocabile. Dà per certo un limitato arco temporale, indica una scadenza dietro l’angolo, sancisce il pontificato a tempo. Non a caso è stata questa intervista ad essere pubblicata integrale dall’Osservatore Romano. Un’altra traccia, nel lungo testo, viene dal riferimento al 2023, il decennale dell’elezione, un anniversario che l’interlocutrice definisce “ideale per tracciare un bilancio”. La replica suona come un’implicita ammissione che presto la Chiesa potrà fare a meno di lui: “Quello che ho messo in moto è stato quello che mi è stato chiesto”. Come a dire, il processo di rinnovamento avviato è ormai irreversibile e condiviso, può andare avanti senza di me, a prescindere da chi sarà il successore: “Non sono idee mie ma di tutto il collegio cardinalizio”.
Solo la storia potrà dare un giudizio sul ruolo di questo visionario pontefice, dedito più alla realtà che alla spiritualità, alla Terra più che al Paradiso. E la sua vocazione a denunciare storture e ingiustizie la si ritrova in questa emblematica frase, anche essa affidata alla sua compatriota: “Se non si fabbricassero armi per un anno, non ci sarebbe più fame nel mondo”.
In ogni caso, se, come sembra ineluttabile, ad un certo punto lascerà il Soglio e se Ratzinger godrà ancora di discreta salute, avremo due Papi emeriti e uno effettivo. Nemmeno nelle cronache medievali, tra conclavi e contro conclavi, si trovano precedenti del genere.
Non solo. È ormai dominio comune, fin dalla malattia di Woytila, l’immagine della sofferenza papale. Corpi che hanno perso l’aura di sacrale inviolabilità.
Eppure, ancora nell’ottobre del 1958 suscitarono scandalo le foto scattate, e vendute ai giornali, dall’allora archiatra pontificio, e medico personale, a Pio XII in agonia, steso sul letto con la cannula dell’ossigeno in bocca.
Altri tempi.
Post scriptum: il nostro presidente del consiglio incontra Erdogan per parlare di crisi energetica e di mediazioni diplomatiche. Il Pascià si sta confermando sempre più personaggio strategico nei nuovi equilibri geo-politici. Eppure, era stato lo stesso Mario Draghi a definirlo un dittatore. Gas non olet. E se proprio puzza, tappiamoci il naso.
Marco Cianca