“E’ tempo che la classe operaia dica la sua anche sui maggiori problemi industriali…”, era il riformismo di Bruno Buozzi. Da allora le lotte sindacali hanno conosciuto diverse stagioni, ma il seme della partecipazione non è mai venuto meno ed oggi, osservando il recente rinnovo del contratto nazionale dei lavoratori chimici, si può dire che sta producendo frutti importanti anche in tempi molto difficili come gli attuali.
Il momento economico pare voglia disfare diverse delle attese di una ripresa economica stabile. L’inflazione determinata certo da fattori internazionali ma insidiata anche da speculazioni d’ogni genere ci ha fatto tornare a tempi che ritenevamo passati per sempre. E come allora a farne le spese sono i salari e le pensioni, la precarietà, le diseguaglianze. Non solo: con il caro prezzi delle materie prime si devono fronteggiare altri due problemi di non poco conto: approvvigionamenti sempre più aleatori e di conseguenza un rallentamento dell’attività produttiva con il rischio che le imprese meno solide chiudano.
La difficoltà di orientarsi fra questi problemi è aggravata dal fatto che energia e materie prime sono diventate terra di contesa politica, la guerra in Ucraina lo dimostra. Insomma fanno parte di uno scontro assai complesso fra potentati economici e finanziari, stati, aeree economiche. E’ la frantumazione della globalizzazione. In questo scenario lavoratrici e lavoratori non c’entrano per nulla ma subiscono i maggiori costi di questa situazione.
Con il contratto dei chimici e quelli che verranno dopo di esso, abbiamo provato a dare una prima risposta risoluta senza attendere di dover subire l’emergenza salariale. L’aumento medio di 204 euro in cinque tranches è un grande risultato perché da una risposta immediata all’erosione dei salari ma al tempo stesso riduce di molto preoccupazioni ed incertezze presenti nelle aziende.
E’ stata tracciata una direzione di marcia che ora va conservata e proseguita. Ma che richiama anche nuove responsabilità del Governo soprattutto in materia fiscale. E’ chiaro che è tempo, come la Uil sostiene, che si affronti con decisione il problema del cuneo fiscale che va abbassato con una strategia pluriennale a favore dei lavoratori. Una politica fiscale senza mance, ma con interventi strutturali che vanno assecondati da una rivisitazione reale del complesso sistema fiscale del nostro Paese che ormai è decisamente avverso ai redditi da lavoro dipendente e da pensione. Occorre una svolta per evitare fenomeni paradossali come quello di un cuneo fiscale che mentre si cerca di abbattere per diversi nuclei familiari di lavoratori con figli a carico rischia invece di aumentare con l’assegno unico. E’ tempo di dire basta a queste assurde contraddizioni, così come l’orizzonte carico di incognite del prossimo futuro dovrebbe imporre una marcia assai più veloce e determinata nel colpire la grande evasione fiscale.
Purtroppo la politica attuale mostra una infinità di debolezze che impediscono una visione di lungo periodo. Ma come le relazioni industriali dimostrano con il rinnovo dei contratti, il movimento sindacale è in grado di incalzare la politica e le Istituzioni per evitare che in autunno si precipiti nel caos sociale.
Ma il contratto dei chimici propone anche una svolta nella contrattazione normativa all’insegna di una gestione partecipativa di istituti che saranno sempre più importanti per la condizione dei lavoratori. E’ prevista la creazione di una piattaforma on line che potrà essere consultata da tutti i lavoratori del settore per scoprire le opportunità del welfare che poi dovranno essere introdotte sul piano aziendale. Trova sempre più spazio il nodo della formazione sia in relazione alla continua evoluzione tecnologica, sia in rapporto alla necessità non di rado inevasa di professionalità che mancano. E le relazioni industriali saranno alimentate da un sistema di osservazione, discussione, valutazione delle problematiche e delle novità inerenti alla produzione. Inoltre in un periodo nel quale i diritti vacillano anche a causa della crescente precarietà sono state introdotte misure per una effettiva parità di genere.
E’ un contratto che probabilmente è stato rinnovato in prossimità di una possibile fase recessiva, ma che invece diventa una sfida nella direzione di mantenere la rotta verso la crescita.
Le organizzazioni sindacali si sono spese su questo obiettivo e va dato atto alla controparte datoriale di non essersi persa nelle polemiche sul reddito di cittadinanza come avvenuto in Confindustria e di aver invece affrontato i problemi reali ricercando con il sindacato soluzioni avanzate.
La situazione nella quale ci muoviamo è per alcuni versi persino inedita: il contesto internazionale sta cambiando e non vi è bussola in grado di indicare le nuove rotte.
Si prenda il tema dell’energia: il Parlamento europeo ha dato vita alla discussa normativa che concluderà nel 2035 l’epoca delle auto a benzina, salvo ovviamente ripensamenti sempre possibili. Con un piccolo particolare: nessuno sa come sarà questo mondo nel 2035. In tal modo si rischia di scontare solo previsioni negative, in termini di investimenti, di tecnologie, di occupazione, di aree industriali. E si fa strada il dubbio legittimo che invece di decisioni draconiane sarebbe stato meglio affrontare il problema con una dose di gradualità maggiore, tenendo conto ad esempio dei passi in avanti compiuti per rendere le auto a benzina e diesel sempre meno inquinanti. Le tempistiche come pure norme che si abbattono sul sistema industriale non possono essere guidate da una sorta di decreto inappellabile.
Del resto l’inflazione dovrebbe essere la priorità su cui concentrare ogni attenzione, invece che esercitarci in fughe in avanti.
L’inflazione, come si sa, è entrata nel mirino delle Banche Centrali. Il rialzo dei tassi è inevitabile ma non è indifferente come verrà gestito. Se provocherà una gelata economica avremo una nuova recessione perché troppi fattori negativi concorreranno tutti assieme. Ecco perché i governi europei non possono rimanere inerti ad osservare quel che accade, per evitare cioè bufere sullo spread dei Paesi più fragili, nuove diseguaglianze sociali pericolose perché soggette ad imprevedibili manifestazioni, una ricaduta sui settori manifatturieri che potrebbe accelerare il declino industriale a favore di altre aree del mondo.
Non dobbiamo fasciarci la testa prima del tempo, ma non si deve assolutamente sottovalutare i rischi del periodo come si è sottovalutato irresponsabilmente il ritorno della inflazione nelle economie.
La politica ed i Governi sono chiamati ad una “redde rationem” che non si può risolvere con l’alchimia delle alleanze o con un dirigismo economico dietro il quale può celarsi ancora una volta una politica di rigore a senso unico. Occorrerebbe tornare a scelte che furono sperimentate al tempo di Jacques Delors, programmi di stampo keynesiano con una apertura alle novità che non si possono ignorare né sul piano delle compatibilità con l’ambiente e neppure con quello tecnologico. Ma c’è pure da chiedersi se il problema sia davvero quello di rispondere a…Greta o alle scoperte rivoluzionarie della rete, oppure se non ci si debba guardare dalle evenienze geopolitiche e dalle nuove concentrazioni di potere finanziario il cui credo è l’interesse che prevale su ogni altro valore.
A quanto pare saranno mesi ed anni molto interessanti. Difficili, forse esplosivi sul piano della corsa all’egemonia, forse drammatici sul piano sociale. Il movimento sindacale ha una tradizione in questo senso che rifugge dai pessimismi: le sfide si accettano, non si subiscono. Ma probabilmente è arrivato il momento di trovare sintonie più vaste di quelle nazionali che sono necessarie ma evitando che si traducano in… provinciali, quando la competizione mondiale invece si allarga ed i suoi confini appaiono tuttora assai poco distinguibili.
Paolo Pirani