Poi dice che uno se ne va al mare… Oltretutto fa un caldo boia e siamo in piena estate anche se ufficialmente l’estate non è ancora cominciata. Come dare torto a tutti quei cittadini che domenica prossima non andranno a votare per i cinque referendum sulla giustizia e preferiranno una giornata in spiaggia? Come riuscire a convincerli che invece dovrebbero restare in città per esprimersi su questioni molto, ma molto tecniche come la riforma del Csm, l’equa valutazione dei magistrati, la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, i limiti agli abusi della custodia cautelare, l’abolizione del decreto Severino? Perché un cittadino medio, che magari pensa pure – e giustamente – che la giustizia in Italia non funzioni dovrebbe mettersi a studiare leggi complicate, piene di commi e sottocommi, rinvii ad articoli di leggi precedenti, citazioni di sentenze del passato, richiami della Corte costituzionale, della Cassazione, del Tar, del Consiglio di Stato…? Per poi decidere, dopo estenuanti giornate piegato su libri di diritto, codici e codicilli vari, se votare e cosa votare?
Quei cittadini hanno già votato innumerevoli volte per i loro rappresentanti in Parlamento e pensano che dovrebbero pensarci proprio quei parlamentari a riformare la giustizia, in fondo è il loro lavoro, per di più ben pagato. Dunque, si prevede che la maggior parte di questi cittadini ne andrà al mare e non al seggio elettorale, così come è già accaduto in passato in occasione dei molti referendum che sono andati a vuoto, non avendo raggiunto il quorum del 51 per cento che la Costituzione stabilisce come soglia affinché il plebiscito sia valido.
Il referendum è una cosa seria, uno strumento di democrazia diretta che dovrebbe riguardare grandi questioni di interesse nazionale. Possibilmente questioni su cui è possibile esprimersi senza dover essere un esperto del ramo. Basti pensare a quello sul divorzio del 1974 o a quello sull’aborto del 1981, a quello sul taglio della scala mobile del 1985 e così via per molti altri fino a tutti gli anni novanta. E’ uno strumento che permette ai cittadini di intervenire laddove il Parlamento non può o non vuole arrivare, magari perché bloccato dalle sue divisioni interne. Ma non può essere una scorciatoia, un modo per aggirare il Parlamento e fare intervenire il popolo su qualsiasi problema si presenti all’ordine del giorno, come per esempio il divieto per i cacciatori di passare sui terreni privati (ci è toccato anche questo). Altrimenti il cittadino medio di cui parlavamo prima si stanca e si rifiuta di perdere tempo per votare su cose che non conosce se non per sentito dire e che magari sono così tecniche che non suscitano alcuna passione di massa.
Purtroppo però negli ultimi venticinque anni il referendum è stato usato da alcuni partiti o associazioni varie proprio per saltare le Camere, ma spesso e volentieri con un pessimo risultato, anzi due. Il primo è che il quorum non è stato raggiunto e la questione in ballo è morta in un cassetto del Parlamento; il secondo è che più si proponevano referendum così particolari e corporativi, più lo stesso strumento perdeva di efficacia e di interesse per l’opinione pubblica. Alimentando quella disaffezione per la politica che ci sta portando anno dopo anno sulla strada americana, ovvero verso un forte astensionismo elettorale tipico degli Stati uniti, dove ormai vota meno del 50 per cento degli aventi diritto.
Eppure, il referendum popolare è un istituto straordinario per far esprimere i cittadini su questioni che li riguardano direttamente, nel senso che toccano i loro interessi e la loro vita quotidiana. La giustizia sarebbe uno di questi, se non fosse che i quesiti proposti non sono alla portata di chi non conosce la materia fin nei suoi aspetti più reconditi. Invece, altri due quesiti avrebbero suscitato più interesse collettivo, quello sull’eutanasia e quello sulla legalizzazione delle droghe leggere. Si trattava di chiedere agli italiani se avessero voluto scegliere di morire qualora fossero malati senza speranza di guarire e di potersi fumare uno spinello senza rischiare la galera (a proposito di giustizia giusta). Ma la Corte costituzionale ha deciso di non ammetterli al voto, grazie anche al suo presidente, il “liberale” Giuliano Amato. Un vero peccato, perché se invece fossero stati ammessi, io domenica non sarei andato al mare.
Riccardo Barenghi