La Corte Costituzionale un anno fa, con la sentenza n. 59, ha dichiarato l’incostituzionalità del comma 7 dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, così come modificato dalla legge Fornero del 2012, nella parte in cui a fronte del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con motivazione che si era rivelata manifestatamente insussistente, attribuiva al giudice la facoltà discrezionale di ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro, con il risarcimento del danno fino a 12 mesi di retribuzione oppure di riconoscere in alternativa il solo risarcimento del danno da 12 a 24 mensilità di retribuzione, senza reintegrazione nel posto di lavoro.
La Corte è intervenuta in questi giorni nuovamente sul comma 7 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, con la sentenza n. 125 del 19 maggio 2022 dichiarando la non costituzionalità di detto comma nella parte in cui prevede, per i lavoratori assunti in epoca antecedente all’entrata in vigore del Jobs act (7 marzo 2015) alle dipendenze di aziende che occupano più di 15 addetti, la reintegrazione nel posto di lavoro solo nel caso in cui il licenziamento si presenti caratterizzato da manifesta infondatezza nelle sue ragioni organizzative, produttive ed economiche. La reintegrazione d’ora in poi si otterrà di diritto, ipso iure, anche nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non abbia la “manifesta infondatezza”; d’ora in poi sarà sufficiente la semplice infondatezza, senza aggettivi.
Questo diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro non si può riconoscere solo nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia dichiarato illegittimo per motivi diversi dalle “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” come, ad esempio, per violazione dei criteri di scelta del lavoratore da licenziare. In quest’ultimo caso, per la Corte costituzionale, il lavoratore avrà diritto solo all’indennità risarcitoria che va da 12 a 24 mensilità della retribuzione, senza il diritto di ritornare a prestare la sua attività lavorativa in azienda.
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma della legge Fornero del 2012 sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo, così come delineata all’epoca dal Parlamento, perché ha ritenuto che abbia violato il principio di uguaglianza e si presenti irragionevole nella soluzione adottata per gli obbiettivi che il legislatore stesso si era prefisso di raggiungere.
Contro il licenziamento illegittimo per giustificato motivo oggettivo, d’ora in poi, i lavoratori avranno piena e fortissima tutela giuridica perché è stato cancellato dal testo della legge quel requisito della “manifesta infondatezza “che ha fatto tanto discutere gli operatori del diritto del lavoro.
La Corte Costituzionale ha ribadito che nel nostro ordinamento giuridico esiste il “diritto del lavoratore di non essere ingiustamente licenziato”. Questo diritto deve essere adeguatamente tutelato. Il meccanismo delle tutele della legge Fornero non è stato ritenuto compatibile con i nostri principi costituzionali.
La Corte ha colto l’occasione per ribadire che “il legislatore, pur nell’ampio margine di apprezzamento di cui dispone, è vincolato al rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza. “La diversità dei rimedi previsti dalla legge deve sempre essere sorretta da una giustificazione plausibile e deve assicurare l’adeguatezza delle tutele riservate al lavoratore illegittimamente espulso.” Tutti questi criteri nella disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo della legge Fornero del 2012 sono stati ritenuti mancanti.
Il comma 7 dell’articolo 18 dello Statuto, che disciplina l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, così come concepito dalla legge Fornero del 2012, è stato smontato nella parte più significativa per mano giudiziaria.
La nuova norma si applica anche alle cause in corso. Non ha, invece, effetto sulle sentenze che sono ormai passate in giudicato.
Questo enorme successo giuridico per i lavoratori con anzianità di servizio antecedente al 7 marzo 2015 e alle dipendenze di aziende che occupano più di 15 addetti, è stato ottenuto senza lotte politiche e sindacali, senza indire referendum e senza un’ora di sciopero o di stato di agitazione.
In questo momento storico, la via giudiziaria si presenta come la più efficace strada avverso le controriforme delle maggioranze parlamentari. I giudici sono lenti ma prima o poi e senza clamori arriva il severo esame sulla costituzionalità delle norme.
Con il requisito della “ragionevolezza” costituzionale che le leggi devono avere si conosce il punto da cui si parte ma non si conosce il punto dell’approdo.
Il comma 7 dell’art 18 della legge Fornero del 2012 prima dell’intervento della Corte Costituzionale
Il comma 7 dell’art. 18 con i due interventi di censura della Corte Costituzionale del 2021 e del 2022
Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.
Il comma 7 dell’art 18 della legge Fornero del 2012 prima dell’intervento della Corte Costituzionale
Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.
Il comma 7 dell’art. 18 con i due interventi di censura della Corte Costituzionale del 2021 e del 2022
Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Applica altresì la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.
Biagio Cartillone