L’ultima idea che circola è quella del partito dei pacifisti, una suggestione che ha qualche fondamento visto che la maggioranza degli italiani – secondo tutti i sondaggi – è contraria all’invio di nuove armi all’Ucraina e pensa che il presidente americano Joe Biden non stia lavorando per la pace ma, invece, per proseguire la guerra. E con lui tutti quei governanti europei che lo seguono su quella strada. Quindi questo fantomatico partito avrebbe una buona base su cui nascere e svilupparsi, e avrebbe anche qualche personaggio pronto a guidarlo. Da Michele Santoro a Marco Travaglio, da Sabina Guzzanti al direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio, da Giuseppe Conte a Alessandro di Battista, da Andrea Scanzi a Maurizio Landini, fino a Vauro e Alessandro Orsini (ma forse quest’ultimo è meglio lasciarlo perdere che sarebbe controproducente, così come Matteo Salvini e Silvio Berlusconi). Il tutto sotto l’egida di Papa Francesco, il più pacifista di tutti.
In fondo, viste anche le condizioni in cui versano gli attuali partiti presenti sulla scena, l’idea potrebbe avere persino un senso: gli italiani che si dichiarano pacifisti al momento non si sentono rappresentati da nessuno, il loro anelito per la pace e contro le armi non è corrisposto dalla gran parte della politica che, al di là dei distinguo di quello o quell’altro leader, alla fine ha votato compatta per l’invio di nuove armi: e allora, forza, facciamo un nuovo partito, già che ci siamo. Un partito tematico, diciamo anche monotematico, anche se in fondo la pace potrebbe pure essere quella cosa che tutte le altre comprende, perché senza pace non c’è vita e quindi non c’è niente.
Ma questa è filosofia, non politica. La quale invece è dura, persino spietata, comunque concreta e se vogliamo anche sporca. Come disse l’ex ministro socialista Rino Formica, è “sangue e merda”. E quindi quale sarebbe il senso di un partito pacifista, cosa avrebbe da dire su tutte le questioni che ogni giorno la politica è chiamata a risolvere, cosa farebbe quando si trovasse a dover scegliere sulle tasse, sui salari, sulle infrastrutture, sui migranti, sulla legge elettorale e via dicendo? Per non parlare delle alleanze, praticamente impossibili visto che tutti gli altri partiti non sono pacifisti, o almeno non come i “veri” pacifisti intendono il concetto.
Tuttavia, il problema esiste ed è un problema di rappresentanza. Sulla piazza politica attuale, tutti questi italiani che sono per la pace e contro le armi non trovano una lista adeguata alle loro istanze. A parte forse un pezzo del Movimento Cinquestelle (ma il ministro Di Maio e i suoi fedeli sono decisamente schierati con le scelte del governo), Sinistra italiana di Fratoianni e Vendola, e timidamente il partito di Bersani e Speranza. Ovviamente stiamo parlando di italiani che difficilmente voterebbero Salvini o Berlusconi, ma che guardano al Pd sperando che Letta a un certo punto cambi linea e torni a essere votabile pure da loro. Oppure che entro un anno la guerra finisca e così, scurdammoce o passato e tiremm innanz…
Ma se questi due fatti non dovessero verificarsi, se Letta non cambiasse linea e la guerra fosse ancora in corso quando si dovrà votare pe le politiche del 2023, cosa farebbero tutti questi pacifisti nel segreto dell’urna. Magari alcuni di loro, forse più di alcuni, si asterrebbero, ma gli altri voterebbero seguendo la loro appartenenza storica, turandosi il naso (come fece Montanelli per la Dc). Oppure, voterebbero questo nuovo, eventuale partito per la pace qualora nel frattempo fosse nato. Ma è difficile che nasca, un partito non si improvvisa in base a un’esigenza del momento, per quanto essa sia così importante, diciamo anche epocale, come la guerra.
In passato ne sono nati diversi di partiti tematici, come quello dei pensionati, oppure salendo di livello quello dei Verdi. Che in fondo avrebbe avuto un suo senso politico, l’ambiente come la pace è un valore, un bene universale, dunque giusto che qualcuno se ne faccia carico nel mondo politico se altri non lo fanno, o lo fanno col freno a mano tirato. Però anche i Verdi non hanno avuto una gran fortuna, evidentemente gli italiani preferiscono votare quelli che hanno – o dicono di avere – una visione complessiva e non settoriale del Paese (anche se l’ambiente non può certo essere considerato settoriale). E pensare che oggi, visto il movimento dei giovani di Greta contro il cambiamento climatico, vista l’indispensabile conversione energetica, vista infine la crisi del gas e del petrolio causata dal conflitto in corso, ci sarebbe un gran bisogno di qualcuno che da decenni propone soluzioni alternative e compatibili con l’ambiente, come le energie rinnovabili. Invece questo qualcuno è rimasto più o meno da solo, una forza politica consistente non l’abbiamo mai vista, purtroppo.
Stesso discorso vale per i pacifisti di oggi, che non hanno bisogno di un partito che bene che andasse prenderebbe quel due o tre per cento totalmente inutile, aggiungendosi ai tanti piccoli pezzi della politica, che rappresenteranno pure una fettina di elettori ma non servono quasi a nulla. Meglio allora battersi perché la pace diventi un pezzo fondamentale dei partiti esistenti. A meno che questa nuova formazione politica non sia utile solo ai suoi presunti leader, ai quali un posto al sole, cioè in Parlamento non dispiacerebbe affatto. Non sarebbe la prima volta che accade, gli ultimi esempi di una lunga lista si chiamano Matteo Renzi e Carlo Calenda. E non sono edificanti.
Riccardo Barenghi