Il datore di lavoro ha contestato ad una lavoratrice di essere andata in villeggiatura in un giorno di permesso ex lege n. 104 del 1992, concesso per assistere la madre disabile, che invece si trovava in altro luogo, violando “i principi di correttezza e buona fede nonché gli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà” e cagionando altresì con l'”assenza dal servizio disagi e disservizi nell’organizzazione del lavoro”; in sede di giustificazioni, la lavoratrice non ha negato l’effettività del fatto specificamente contestato, scusandosi dell’errore commesso di cui ha riconosciuto la gravità, adducendo quali motivi l’improvvisa indisponibilità espressa dalla madre soltanto nella tarda serata del giorno prima a raggiungerla, come concordato, presso la località di villeggiatura e, quanto al mancato tempestivo rientro, le proprie condizioni di salute, anche in relazione alla guida di notte per lunghi tragitti ed al traffico che avrebbe trovato di non aver pensato di avvertire l’azienda del fatto che quel giorno. non avrebbe potuto materialmente assistere la madre e comunque di essere ripartita in treno nel pomeriggio dello stesso giorno, disdettando la prenotazione dell’albergo.
Il datore di lavoro non ha accettato le giustificazioni e le ha intimato il licenziamento per giusta causa che la lavoratrice ha impugnato tempestivamente. Il tribunale, prima e la Corte di appello, dopo, hanno concordemente annullato il licenziamento per giusta causa condannando il datore di lavoro alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro e al risarcimento del danno subito.
Contro la sentenza ha proposto ricorso in Cassazione il datore di lavoro assumendone l’erroneità in diritto. In particolare, il datore di lavoro ha contestato la violazione delle previsioni del contratto collettivo. Nel caso in esame i giudici del merito avrebbero erroneamente qualificato il comportamento della lavoratrice come una semplice assenza arbitraria dal posto di lavoro punibile con una sanzione conservativa del posto di lavoro mentre, in realtà il comportamento posto in essere con la inveritiera e infedele richiesta del permesso per assistere la madre disabile, usufruendo dei benefici della legge, costituiva una violazione dei doveri contrattuali ben diversa dalla norma collettiva che si è assunto essere stata violata e che disciplina il ben diverso caso in cui il lavoratore non si è presentato semplicemente al lavoro per rendere la sua prestazione.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’azienda con la seguente motivazione: “In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 commi 4 e 5, …, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.
Si è argomentato che anche laddove la fattispecie punita con una sanzione conservativa sia delineata dalla norma collettiva mediante una clausola generale o elastica, “graduando la condotta con riguardo ad una sua particolare gravità ed utilizzando nella descrizione della fattispecie espressioni che necessitano di essere riempite di contenuto”, sicuramente “rientra nel compito del giudice riempire di contenuto la clausola utilizzando standard conformi ai valori dell’ordinamento ed esistenti nella realtà sociale in modo tale da poterne definire i contorni di maggiore o minore gravità”, perché “all’interprete è demandato di interpretare la fonte negoziale e verificare la sussumibilità del fatto contestato nella previsione collettiva anche attraverso una valutazione di maggiore o minore gravità della condotta.
Pertanto, costituiva specifico compito dei giudici del merito accertare la sussumibilità del fatto contestato, così come ricostruito da costoro e non secondo la prospettazione della società, nell’ambito delle previsioni collettive che comminano sanzioni conservative, considerata la vincolatività di queste ultime (anche ai fini della individuazione della tutela applicabile con la novella dell’art. 18 statuto dei lavoratori; ciò hanno fatto i giudici bolognesi attraverso una valutazione del grado di gravità della condotta che tenesse conto di tutte le circostanze del caso concreto, riconducendo quest’ultimo, plausibilmente, ad una ipotesi omologabile all’assenza arbitraria per un giorno lavorativo.” Cass. civ., sez. lav, sent., 26 aprile 2022, n. 13065.
Semplificando il complesso e articolato linguaggio letterario-giuridico della motivazione della sentenza della Corte possiamo più semplicemente dire che la lavoratrice non ha approfittato in modo fraudolento delle tutele previste dalla legge per i parenti disabili ma più semplicemente si è assentata dal lavoro, senza aver potuto assistere effettivamente la madre disabile per delle cause sopravvenute indipendenti dalla sua volontà. È stata assente dal lavoro ma senza raggiri e senza dolo. La sua condotta non giustifica l’applicazione della massima sanzione disciplinare, come quella del licenziamento per giusta causa, che può essere adottata solo in altri e ben diversi casi connotati da gravità e dolo. Il tutto del rispetto delle previsioni disciplinari del contratto collettivo.
Avv. Biagio Cartillone