La domanda che tutti gli italiani si pongono è semplice: che faranno i nostri partiti senza Draghi. Quando l’attuale premier uscirà da palazzo Chigi, probabilmente alla fine della legislatura, cioè tra circa un anno, riusciranno a formare un governo stabile, o quantomeno decente? Certo, dipenderà dall’esito delle elezioni, ovvero se dalle urne uscirà un vincitore, una coalizione che avrà raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari e che quindi sarà in grado di governare il Paese. Oppure se, al contrario, dall’esito della consultazione politica risulterà un sostanziale pareggio, cioè nessun vincitore, nessuna maggioranza, nessuno insomma che avrà le carte in regola per dar vita a un nuovo Ministero coeso e credibile. Sul piano interno e su quello internazionale, vista anche la guerra in corso che, ammesso che tra dodici mesi sia finita (ma chissà), avrà comunque lasciato sul campo macerie materiali e politiche. Una situazione internazionale tutt’altro che tranquilla, che richiederà grandi capacità diplomatiche, geopolitiche ed economiche da parte di tutti gli attori in campo. A cominciare da quelli occidentali, compresa ovviamente l’Italia.
Difficile prevedere oggi chi vincerà le elezioni, qualora qualcuno le vincesse. Al momento il centrodestra risulta in vantaggio ma, secondo i sondaggi, non riuscirebbe comunque a raggiungere quella maggioranza assoluta necessaria per governare. Gli altri, il centrosinistra (chiamiamolo così per comodità di ragionamento, anche se ormai assomiglia a un’armata Brancaleone) è piuttosto frammentato per non dire frantumato, ed è ben lontano dal 51 per cento dei consensi che gli garantirebbero l’entrata a palazzo Chigi. Dunque, se questo scenario risultasse vero, se dopo il voto popolare ci trovassimo senza una maggioranza, cosa succederebbe? Le ipotesi sono due: la prima è che, vista l’impossibilità di far nascere un governo coerente con la campagna elettorale condotta da due (o tre) schieramenti contrapposti, il Presidente della Repubblica sia costretto a sciogliere le Camere appena elette e a indire nuove elezioni. La seconda, molto più probabile, è la nascita di un nuovo governo di unità nazionale, con dentro tutti quelli che si dichiareranno disponibili. Potrebbero essere gli stessi partiti che oggi sostengono Draghi, oppure qualcuno in meno, molto dipenderà da successi e insuccessi dei ognuno nelle elezioni.
Per fare solo qualche esempio, se Giorgia Meloni dovesse arrivare prima (come dicono i sondaggi di oggi), non avrebbe alcun interesse a partecipare a un governo con tutti gli altri. Dunque, resterebbe fuori, esattamente come adesso, scommettendo sulla vita breve del nuovo esecutivo e aspettando sulla riva del fiume che passi il cadavere dei suoi nemici (proverbio cinese). E Salvini, che farebbe Salvini? Se – sempre basandoci sui sondaggi – perdesse la partita, ritrovandosi una Lega al 14-15 per cento, magari sarebbe costretto a dimettersi. Ma comunque, se pure restasse al suo posto, non avrebbe alcun interesse a stare dentro una formula politica che lo vedrebbe di nuovo insieme al centrosinistra e che sarebbe vista da lui come la causa principale della sua sconfitta. A tutto vantaggio della sua rivale-alleata Meloni. Meglio stare fuori, insomma, e ricominciare dall’opposizione.
Il Paese però di un governo avrà bisogno, tanto più se la situazione internazionale e quella economica saranno ancora turbolente per non dire disastrose. E allora non è difficile prevedere che tutti gli altri partiti saranno molto sensibili all’appello che a quel punto il Capo dello Stato lancerà per convincerli a tornare al governo insieme, da Letta a Berlusconi, da Conte a Renzi, da Calenda a Bersani, fino a tutti i piccoli centristi sparsi qua e là. Ma servirà qualcuno in grado di guidare questo futuro ed eventuale governo di semi-unità nazionale, un qualcuno abbastanza autorevole, competente e super partes, uno che piaccia agli italiani e a cui i partiti non possano dire di no.
Facendo una panoramica tra tutti coloro (e sono pochissimi) che potrebbero avere queste caratteristiche, emerge con forza il nome di Draghi. Certo, bisognerà vedere se nel frattempo l’attuale premier non avrà fatto altri programmi per il suo futuro, magari candidandosi a segretario generale della Nato (ipotesi di cui si parla insistentemente), oppure che non sia troppo stanco di dover combattere in prima linea circondato da partiti rissosi. Oppure, ancora, se non abbia intenzione di farsi eleggere al Quirinale, previo accordo con Mattarella che potrebbe dimettersi, stavolta irrevocabilmente.
Insomma tanti se e tanti ma devono essere sciolti per giungere a una conclusione realistica. Tuttavia, l’ipotesi di un nuovo governo Draghi è più probabile di quanto appaia, nonostante una forte controindicazione che si può sintetizzare in una domanda: possibile che gli italiani non riescano a scegliere una maggioranza politica e si debba ricorrere all’ennesimo governo guidato da un tecnico, per quanto il migliore in campo? Viene allora in mente una canzone di Lucio Battisti: “Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?”.
Riccardo Barenghi