In guerra non si pensa, si combatte. E anche se noi italiani non siamo fattualmente in guerra, nel senso che non abbiamo militari che sparano e vengono sparati in Ucraina, nel dibattito pubblico è come se lo fossimo. Bisogna stare attenti a quel che si scrive o dice, a come lo si dice, a quando lo si dice: ché se solo sbagli una virgola, vieni immediatamente attaccato selvaggiamente, demonizzato, crocifisso, ostracizzato. O, per usare una metafora in questo periodo più che azzeccata, vieni messo al muro.
L’esempio più in voga è quello del né né, cioè di coloro che non stanno né con Putin né con la Nato. A parte il fatto che al momento non risulta che la Nato sia scesa in guerra per fortuna di tutto il mondo, ma sarà o non sarà legittimo in una democrazia liberale, di cui in questi giorni cupi vengono giustamente sbandierati i valori fondamentali, esprimere un’opinione diversa da quella dominante? Magari il né né risulta una posizione troppo furbesca, diciamo pure pilatesca, insomma un “me ne lavo le mani” quando invece sarebbe necessario essere più chiari, più netti. Allora, mettiamola così: è lecito schierarsi contro Putin e contro la Nato oppure bisogna per forza mettersi al fianco di qualcuno altrimenti diventi un collaborazionista del nemico? Buoni e cattivi, amici e nemici, chi non è con me è contro di me, la semplificazione che la guerra provoca nel pensiero e quindi nella discussione è pericolosa, sfocia nel manicheismo e non fa bene a nessuno. Neanche a chi si sente più che sicuro delle proprie posizioni, spesso dogmatiche.
Tanto per essere chiari e per non rischiare di apparire putinista, dichiaro subito che io non ho mai amato (eufemismo) il leader russo, tanto meno oggi che bombarda distrugge e ammazza i suoi nemici, militari e soprattutto civili. Non lo amavo neanche quando molti leader occidentali invece lo consideravano un interlocutore fondamentale se non privilegiato, soprattutto per gli affari, e non importava che fosse un dittatore brutale, che soffocava il dissenso e la libertà di espressione. Anche col veleno. E’ la realpolitik, bellezza, direbbe Humphrey Bogart.
E allora, se sei contro Putin, devi per forza stare con la Nato… Come se fossimo allo stadio per un derby, se non sei romanista devi essere laziale. E viceversa. E se invece uno volesse essere contro Putin e contro la Nato? Apriti cielo, la Nato difende i nostri noi e i nostri valori, la Nato è l’Occidente, senza la Nato saremmo tutti meno liberi, senza la Nato i cattivi ci avrebbero già invaso e massacrati come sta accadendo agli ucraini. Viva la Nato, insomma e guai a chi ce la tocca.
Una volta, però, nei cortei degli anni Settanta si gridava “Fuori la Nato dall’Italia, fuori l’Italia dalla Nato”. Era solo uno slogan ovviamente, e come tutti gli slogan molto sempliciotto. Dietro al quale però c’era un’idea del mondo diversa da quella che si era imposta e che via via si è sempre più affermata. L’idea che meno armi, meno strutture militari, meno eserciti, meno investimenti sull’industria degli armamenti, e soprattutto meno ricerca per ottenere ordigni sempre più sofisticati e magari nucleari, più il mondo avrebbe potuto pensare alla pace. E investire quei soldi nella sanità, nella scuola e nella formazione, nel lavoro, insomma nel miglioramento della vita dei cittadini.
Non è andata così. Anche quando Michail Gorbaciov ha smantellato il Patto di Varsavia (ossia la Nato dei paesi socialisti), l’occasione non è stata colta da Usa e Europa. Invece di seguire la strada indicata dall’allora leader dell’Urss, siamo andati nella direzione opposta: abbiamo rafforzato la nostra alleanza militare, l’abbiamo via via allargata ai Paesi ex sovietici, rafforzandola fino al punto da fare la guerra nella ex Jugoslavia sotto la sua egida (l’Onu non era disponibile).
Significa che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è colpa della Nato e dell’Occidente? Non scherziamo, la colpa è solo di Putin e della sua smania imperialistica, tuttavia il Presidente russo ha avuto buon gioco dal punto di vista interno a giocare la carta della frustrazione dei russi che si sono sentiti accerchiati e minacciati. Non a caso, ancora oggi il suo consenso è piuttosto alto, malgrado le bombe, le stragi e il dissenso che cresce anche intorno a Mosca. Dissenso soffocato naturalmente, con arresti in massa e pestaggi ad ogni manifestazione per la pace, per non parlare degli oppositori al regime che a volte vengono avvelenati.
Ma noi, noi che siamo una democrazia, che amiamo il confronto delle idee, che facciamo della libertà di espressione una delle nostre pietre miliari, garantita oltretutto dall’articolo 21 della Costituzione? Noi ci stiamo comportando come fossimo già in guerra, quando le idee di chi non è d’accordo non trovano spazio, vengono cesurate o messe alla berlina. Bastava guardare uno dei tanti talk show per vedere come chiunque osasse dire un ma, un però, chiunque provasse a esprimere un’opinione non in linea con quella che va per la maggiore, venisse accusato di essere un putiniano o al massimo un né né, che poi nel senso comune è diventato la stessa cosa. Ultimo episodio è il coro che si è levato contro il professor Orsini per la sua presenza pagata a “Carta Bianca” della Berlinguer su Raitre. Magari 2000 euro a puntata erano troppi, magari lo si poteva ospitare gratis, come forse avverrà, magari lui dice un sacco di fesserie (ma non tutte sono fesserie), ma ci sarà pure un limite all’ostracismo che poi rischia di sfociare in censura?
Evidentemente molti dei nostri apprendisti censori non hanno letto la famosa frase attribuita a Voltaire: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo”.
Riccardo Barenghi