La norma violata:
L’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori prevede che: “È nullo qualsiasi patto od atto diretto …a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali”
Il caso:
Una società datrice di lavoro licenzia un suo dipendente per ragioni economiche sostenendo di averne necessità per il contenimento dei costi aziendali e per una più utile gestione dell’impresa. Il licenziamento è stato motivato dall’azienda come necessario “per ridurre il costo del personale, limitando drasticamente le trasferte e intervenendo sulla stessa forza lavoro”.
L’azienda nell’intimare il licenziamento ha affermato la necessità di dover sopprimere alcune posizioni lavorative tra quelle maggiormente costose ma con un minor impatto sociale; su questi presupposti ha individuato la figura di un dipendente che, nel giro di dodici mesi, avrebbe maturato il diritto alla pensione di vecchiaia; nella lettera di licenziamento si legge, infatti, che “al compimento del 67^ anno di età, raggiungerà l’età anagrafica fissata dalla legge per l’ottenimento della pensione di vecchiaia, percependo i relativi emolumenti e, potendo contare sull’indennità sostitutiva del preavviso”. Il tribunale ha affermato che dalla lettera di licenziamento dell’azienda appare con tutta evidenza che la scelta di quel lavoratore destinatario del licenziamento “è dipesa in modo chiaro dalla circostanza che lo stesso avrebbe conseguito a breve i requisiti per l’ottenimento della pensione di vecchiaia.”
La decisione
Il Tribunale ha qualificato questo licenziamento come discriminatorio. Il lavoratore, alla data dell’intimazione del licenziamento, non aveva compiuto ancora i 67 anni di età e non aveva maturato i requisiti per accedere al trattamento pensionistico di vecchiaia. Per il Tribunale l’azienda “non aveva comunque alcun diritto di recedere dal rapporto di lavoro ad nutum, atteso che alla data del 5 agosto 2020 il ricorrente non aveva maturato i requisiti per accedere al trattamento pensionistico”. Sul punto, il Tribunale di Milano si è richiamato alla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione che, “… sulla questione dei termini e delle modalità di risoluzione dei rapporto in coincidenza con il raggiungimento dell’età per il conseguimento della pensione di vecchiaia e dell’esistenza o meno del diritto del lavoratore ad un periodo di preavviso, nell’ambito del rapporto di lavoro privatistico, ha più volte statuito che la tipicità e tassatività delle cause d’estinzione del rapporto escludono risoluzioni automatiche al compimento di determinate età ovvero con il raggiungimento di requisiti pensionistici, diversamente da quanto accade nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni in tema di collocamento a riposo d’ufficio, al compimento delle età massime previste dai diversi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche stesse, sicché, in assenza di un valido atto risolutivo del datore di lavoro, il rapporto prosegue con diritto del lavoratore a percepire le retribuzioni anche successivamente al compimento del sessantacinquesimo anno di età (Cass. n. 9312 del 2014; Cass. n. 3237 del 2003; Cass. n. 3907 del 1999). A ciò consegue che, nel campo dei rapporti di lavoro di natura privatistica, per la risoluzione del rapporto per limiti di età anagrafica del lavoratore, al datore di lavoro è imposto comunque l’obbligo di preavviso.”
Il preavviso, per il Tribunale di Milano, non può essere computato nel calcolo del periodo utile per raggiungere i requisiti per il trattamento pensionistico di vecchiaia. Il recesso può essere esercitato in modo legittimo “solo a partire dal momento in cui il lavoratore compie concretamente l’età per il conseguimento della pensione di vecchiaia, non potendosi a tal fine conteggiare il periodo di preavviso contrattualmente dovuto”. Il lavoratore, al momento dell’intimazione del licenziamento, deve essere già in possesso dei requisiti di legge per avere diritto alla pensione di vecchiaia ordinaria (e non maturarli al momento della data fissata per l’estinzione del rapporto”. Tribunale sez. lav. – Milano, 10/11/2021, giudice dott. Pazienza. Il licenziamento, in sostanza, per il giudice è stato intimato prima del tempo e della maturazione dei requisiti.
Il licenziamento è stato così qualificato come licenziamento discriminatorio per ragioni di età essendo stato adottato solo e soltanto sulla base del requisito anagrafico e sulla prossimità alla pensione.
La volontà discriminatoria è stata individuata dal Tribunale di Milano anche nella circostanza che l’azienda ha assunto a sostegno del licenziamento l’esistenza del suo progetto di “svecchiare” il personale alle sue dipendenze avendo in programma di favorire il ricambio generazionale al fine di poter meglio cogliere l’evoluzione tecnologica che caratterizza la sua attività, avendo la necessità di utilizzare contenuti tecnologici costantemente innovative nello svolgimento dell’attività. I nativi digitali, insomma, per l’azienda sono più efficienti di chi per ragioni di età, ha scoperto l’informatica in tarda età e non ha quella forma mentis già costruita per coglierne le potenzialità.
L’azienda, per il Tribunale, ha licenziato il lavoratore non sulla base di effettive esigenze di riorganizzazione bensì solo e soltanto sulla base dell’età anagrafica, in violazione della norma di cui all’articolo 15 dello statuto dei lavoratori.
Con la pronuncia dell’esistenza del licenziamento discriminatorio, il lavoratore è stato reintegrato nel posto di lavoro, sebbene già prossimo al pensionamento di vecchiaia con il risarcimento del danno pari alla retribuzione persa e al versamento dei contributi previdenziali. Il massimo della sanzione prevista dall’attuale normativa.
Biagio Cartillone