“Vassene il tempo e l’uom non se n’avvede” scriveva Dante Alighieri. Eppure questo dovrebbe essere il tempo di scelte difficili ma tempestive. Inutile negarlo: si sta creando un groviglio di problemi che si avvita pericolosamente attorno al rialzo della inflazione con l’effetto evidente di ricreare grande incertezza nella vicenda economica e nella realtà sociale già provata duramente dalla pandemia.
La discussione politica ruota attorno al costo delle bollette, certamente una priorità da affrontare con decisione. Ma resta scarsa l’analisi sulle ragioni di questa impennata che da effimera come pronosticato improvvidamente dalle stesse banche Centrali sta diventando una pericolosa costante per i prossimi mesi. Il groviglio che si sta formando e che non deve diventare inestricabile, pena maggiori disagi specie per i ceti sociali più deboli, chiama in causa naturalmente la attesa risalita dei tassi, i comportamenti dei mercati, le turbolenze geopolitiche con le loro imprevedibili conseguenze. Per giunta oltre al tasso di inflazione va tenuto d’occhio anche lo spread che nel primo mese e mezzo del 2023 ha registrato un aumento di quasi il 20%.
Di fronte a questo contesto difficile di per sé “l’uom che non se n’avvede” pare essere la politica che si occupa con maggiore solerzia della sorte delle spiagge, molto meno del pericolo che ad essere… spiaggiata sia la nostra fondamentale ripresa economica. Senza voler essere troppo pessimisti non si può non rilevare con una certa preoccupazione che l’azione del governo dopo le elezioni per il Quirinale potrebbe incontrare maggiori difficoltà nella esecuzione del programma, tenendo conto poi che le fibrillazioni politiche sono destinate a salire in autunno in previsione del confronto che precederà le elezioni del 2023.
Lo scenario economico e sociale che abbiamo di fronte, dunque, è difficile e contraddittorio. Sul piano europeo esso è in continuo cambiamento, tanto che si cominciano a ventilare illazioni su ipotesi di modifiche al piano di risorse originariamente varato da Bruxelles per sostenere la crescita dopo le performance dei vari Paesi che vede l’Italia sul terreno del Pil svettare come mai era accaduto in passato. In questo caso il “successo” sul Pil potrebbe rivelarsi fonte di problemi, con l’interrogativo inevitabile che riguarderebbe il mantenimento della stessa quantità di risorse destinate al nostro Paese in presenza di risultati assai meno lusinghieri ottenuti da altri partners europei. All’opposto in taluni ambienti finanziari rispunta una… attenzione che era sparita dai radar dei mercati, ovvero quella che ripropone, sia pure in forma assai ipotetica, un presunto rischio euro, vale a dire l’abbandono della moneta unica a favore di un ritorno a quella nazionale, anche se nessuno Stato è considerato indiziato come ad esempio lo fu la Grecia di qualche anno fa. Sono rumors molto probabilmente destinati a lasciar il tempo che trovano, eppure segnalano irrequietezze che dovrebbero spingere a rafforzare proposte e strategie economiche di lungo periodo.
Ma qualche considerazione va pure fatta: in presenza di un rialzo, sia pur moderato, dei tassi, e di una minore disponibilità della Banca Centrale ad acquistare i nostri titoli, al di là della questione del debito pubblico, risulterebbe arduo immaginare che l’Italia possa andare ad esempio oltre l’utilizzo del contributo a fondo perduto concesso (sempre che il programma di riforme vada in porto come assicura il Presidente Draghi) e continuare ad indebitarsi ancora attingendo alla parte più cospicua dei prestiti europei, ma da rimborsare, messi a disposizione.
Siamo nel campo delle ipotesi e di certo tutto procederà con molta prudenza: Bruxelles e Francoforte non hanno alcun interesse di fronte ad una Europa debole e tuttora disunita sul piano internazionale ad aggravare le difficoltà presenti. Ma proprio per tale motivo il tempo che si ha a disposizione dovrebbe essere gestito molto meglio di quello che traspare dai comportamenti che si registrano nella nostra vita politica in questa fasi sempre più delicata e complessa.
L’inflazione diventa così un banco di prova chiarificatore della capacità di governare eventi tanto impegnativi. E’ pur vero che essa è comparsa assai…presto rispetto alle previsioni dopo anni vissuti in prossimità della deflazione. Ma il suo ritorno d fiamma ha sparigliato le carte. Probabilmente una delle cause risiede nella intensità del breve ma impetuoso ciclo di ripresa ed ha, non a caso, colto di sorpresa le stesse Banche Centrali. La discussione, non accademica ma certo non molto produttiva se si tratti di una inflazione da offerta o da domanda non ha l’aria di portare molto lontano. I fatti sono ben altra cosa: l’aumento delle materie prime che stanno ostacolando l’attività produttiva, l’aumento dei prezzi lungo tutta la filiera dei consumi, la pressione crescente su salari e pensioni impongono di cercare soluzioni efficaci nel breve periodo.
Se guardiamo al passato però sorgono altri dubbi che andrebbero fugati. E forse più che di dubbi si tratterebbe di… fantasmi da non risvegliare. Quando vi sono impennate così marcate della inflazione e cade l’illusione che si tratti di un fenomeno temporaneo, sorge l’immancabile quesito se sia meglio privilegiare una cura antinflazionista rispetto al sostegno della crescita economica che, quindi, passerebbe in secondo piano. Gli esempi non mancano e possono creare qualche legittimo brivido. L’inflazione produce infatti sconquassi sociali profondi quando cresce troppo e troppo in fretta. E’ una mina che non si nasconde sotto le fortune, o sfortune, individuali, ma si diffonde rapidamente in tutta la società. Determina nuove povertà, nuovi squilibri nella vita produttiva ed economica, colpisce il risparmio, crea tensioni sul piano monetario. E’ dunque una questione che si riflette sull’intera dinamica economica e sociale. Ed è entrata a gamba tesa proprio nel momento nel quale l’Italia è costretta a fare le sue riforme sempre rimandate ma adesso obbligate. Ecco perché al dunque è lecito domandarsi quale sarà la strategia economica per fronteggiare la durata e l’entità dell’inflazione. Si tornerà alla politica dei due tempi? E con quali costi sociali e nuovi ritardi economici? Si frenerà sulle riforme? Ed in questo caso l’Europa come reagirà? Si procederà con ulteriori scostamenti di bilancio tappando le falle? E per quanto tempo si potrà andare avanti con che tipo di interventi?
Ma soprattutto si riaffaccia con urgenza un nodo che va affrontato con decisione: quello della questione salariale. E’ indubbio che quanto fatto finora si muoveva in uno scenario differente da quello dei prossimi mesi: liquidità abbondante, tassi fermi, sospensione delle regole europee e così via. Ora però va attenzionata una nuova emergenza salariale che deriva dal fatto che tutto il sistema dei prezzi si sta avvitando e la tenuta dei redditi dei lavoratori e di tante famiglie ne risente pesantemente. Occorre pertanto una riflessione approfondita su questa scottante materia e non solo a livello politico, anche se è chiara l’esigenza che vengano attuati provvedimenti idonei a evitare rilevanti ed estesi drammi sociali. E’ necessario evitare, insomma, un nuovo corto circuito fra crescita economica e retribuzioni. Ancora una volta la leva fiscale potrebbe essere assai utile in questa direzione. Intanto dobbiamo stare in campo difendendo il potere di acquisto delle retribuzioni rinnovando i contratti e adeguando i minimi ai livelli europei.
Non v’è dubbio che ci si trova di fronte ad un percorso in salita. L’inflazione, quando esonda, ha il perverso vizio di rendere tutto più fragile: la crescita, i rapporti sociali, la stessa vicenda politica perché pone i partiti di fronte a scelte difficili quali quella di privilegiare questo o quel ceto sociale. Nelle prossime settimane la situazione però è ancora governabile soprattutto se si arginerà con tempismo eventuali accelerazioni inflazionistiche. Ma non si può far finta che il problema si risolva con operazioni di facciata. Se non altro perché le economie ormai sono talmente integrate fra di loro che anche un solo ritardo nell’affrontare i problemi più urgenti può pregiudicare per parecchio tempo il ritorno ad una stagione di sviluppo stabile. Ed è quello che in primo luogo dobbiamo scongiurare.
Paolo Pirani