Nessuno poteva pensare che la pandemia avesse un ritorno così forte e invasivo come invece è accaduto. Siamo tornati ai momenti più difficili e solo la presenza dei vaccini e la grande disponibilità degli italiani a vaccinarsi ci ha salvati dal ritorno delle chiusure, del lockdown, del rinserrarsi a casa, da quelle difficoltà che ci hanno visto protagonisti negli ultimi lunghi anni. Ma le difficoltà ci sono tutte come prima e la sfida è adesso più ardua perché è calata la voglia di battersi, come se il pensiero che tutto stesse finendo ci avesse tolto le energie vitali necessarie per battersi e magari vincere. La voglia è passata, forse, ma l’urgenza no. La crescita dei contagi, soprattutto il numero sempre crescente delle persone in isolamento costringono un po’ tutti a cercare una soluzione al blocco totale che ci minaccia nemmeno tanto da lontano. Due anni fa furono le parti sociali a cogliere un risultato di eccezione con l’accordo che trovarono imprenditori e sindacalisti per mettere le aziende in sicurezza e consentirle di continuare a produrre. Un risultato di eccezione perché è stato grazie a quell’accordo che è stato possibile ridurre la caduta della produzione e soprattutto tenere vive le catene del valore che hanno consentito la crescita straordinaria del Pil che abbiamo avuto nel 2021.
Adesso che le difficoltà stanno tornando spetta alle parti sociali trovare quel tanto di unità necessaria per ripercorrere le stesse strade, devono mettersi assieme e trovare un accordo che consenta di superare assieme i problemi che l’economia comincia ad avvertire in maniere sempre più sensibile. Un nuovo patto sociale, che avrebbe consentito questo risultato, è stato al centro di tutte le analisi e le speranze nel corso del 2021, senza però mai riuscire a vedere la luce. L’ultima offerta, fatta dal presidente di Confindustria ai sindacati e subito rilanciata dal presidente del Consiglio è rimasta ai blocchi di partenza, di più, si è infranta sullo sciopero generale che Cgil e Uil hanno proclamato a metà dicembre contro il governo e i partiti che lo sostengono. Era loro sacrosanto diritto manifestare la loro disapprovazione per alcune decisioni che erano state prese, di più per quelle che non erano state prese, e nessuno può recriminare sulla loro determinazione a sottolineare l’esistenza di difficoltà reali all’interno della società. Adesso però è venuto davvero il momento di tornare attorno a un tavolo e di cercare di capire, tutti assieme, quali possono essere le scelte da compiere.
Dalla politica è inutile per il momento aspettarsi un qualche protagonismo attivo. La battaglia, perché di questo sembra si tratta, per la scelta del nuovo Presidente della Repubblica sta avvelenando la vita politica, di più, sta rendendo difficilissima qualsiasi scelta fino all’immobilismo totale nel quale rischiamo di cadere in breve tempo. Ogni scelta, ogni decisione da prendere viene valutata dai partiti per prima cosa alla luce di cosa quell’atto può significare per il rafforzamento o l’indebolimento dei protagonisti della partita per il Quirinale e alla fine questo porta inevitabilmente all’immobilismo. Tutto diventa più difficile, come è emerso con grande evidenza nel corso dell’ultimo consiglio dei ministri, dove pure si discutevano problemi di grande rilevanza, che chiedevano una decisione veloce. Alla fine una soluzione, abbastanza precisa, è stata trovata per i problemi che erano da affrontare, ma se si procede in questo modo è evidente che la situazione non può che peggiorare e la soluzione delle difficoltà allontanarsi.
Ma se la politica non può muoversi, costretta in questa fitta rete che si è sviluppata in vista della scelta nel nuovo Capo dello Stato, dovrebbero essere le forze sociali a muoversi, a prendere le redini del dibattito per portarlo verso lidi di maggiore concretezza. Può non essere facile, ma sono obbligate a farlo, se non altro per dimostrare che la loro funzione è importante, determinante, che loro sanno cosa serve a questa società complessa nella quale viviamo. Non basta protestare, questa è l’ora del fare più che del dire. L’ondata malefica della disintermediazione nacque dalla scarsa considerazione che la politica aveva delle forze sociali, era figlia di un preconcetto negativo che le parti sociali devono adesso ribaltare. Le urgenze dell’economia, legate in buona parte all’attuazione del Pnrr, non attendono, gli impegni presi con Bruxelles, ma soprattutto con il Paese, chiedono un protagonismo che non può essere rinviato. Se imprenditori e sindacalisti pensano davvero di essere la parte viva del Paese, come spesso e volentieri affermano, questo è il momento di dimostrarlo.
Massimo Mascini